mercoledì 23 aprile 2014

AMARCORD - Lo schiaffo


Ci sono cose che ti restano dentro per la vita, che ti traumatizzano. Mio padre fu condizionato da un trauma subìto da giovane. Era un uomo semplice, di campagna, umile, generoso, profondamente legato a sentimenti di giustizia, abituato ad andare in giro prima con i carri attaccati al cavallo e poi come camionista. Un giorno, verso la fine degli anni 20, si trovò a dovere andare alla stazione ferroviaria di Bologna a fare non so cosa. Capostazione era un romagnolo del forlivese, Domenico Lama, padre di Luciano Lama, che – nato nel 1921 -  sarebbe poi diventato comunista, sindacalista e quindi politico di sinistra. Domenico Lama si era iscritto al Partito Popolare Italiano fondato nel 1921 da Don Sturzo. Il partito dopo il 1926 si sarebbe sfaldato in tanti rivoli, uno dei quali aderente al fascismo. Ecco, Domenico Lama era fascista convinto. Mio padre al cospetto di tale personaggio sbagliò qualcosa, non so cosa, non ricordo cosa mi disse. Forse sbagliò il saluto, forse disse qualcosa che non era nelle regole, forse non disse “a noi!”. Fatto sta che Domenico Lama si alzò con fare arrogante e prese a schiaffi mio padre redarguendolo duramente. Ecco il trauma. Da allora e per sempre, quando vedeva in tv un politico, diceva: Magnapàn a tradimant!, mangiapane a tradimento. Oggi si dice la stessa cosa in modi diversi ma la sostanza è quella. Dopo quella invettiva, mio padre magari ricordava quell’episodio con voce tremante di pianto. Un pianto di rabbia, per quella assurda ingiustizia patita. Ricorderò per sempre il suo viso stravolto nel raccontare quel fatto.

sabato 5 aprile 2014

C'ERA UNA VOLTA - Il "rusco"


Oggi l’Italia è invasa dall’immondizia. Non parlo di quella morale, che dilaga in ogni dove del Paese, ma dei rifiuti che – bisogna ammetterlo – caratterizzano vergognosamente soprattutto le strade del meridione. Da Catania a Palermo, da Napoli a Salerno e a Roma, l’inciviltà e l’arretratezza culturale della gente diviene spettacolo orribile e indimenticabile agli occhi dei turisti. Una volta a Giardini Naxos, in provincia di Messina, ho visto una donna che con noncuranza dal marciapiede davanti a casa sua gettava sulla spiaggia sottostante un sacco di immondizia: ha notato che la guardavo e con una mano sulla bocca ha nascosto un sorriso di complicità, era consapevole della sua cialtroneria ma evidentemente questa era la sua abitudine. Poi ci sarebbe stato tempo per andare a protestare perché l’amministrazione locale aveva lasciato la città in quello stato di degrado. Fare una discarica? Fatela dove volete, ma non qui da noi! 

Nelle parti meno devastate dalla spazzatura, siamo invasi da una miriade di cassonetti per la raccolta differenziata: vetro, carta, plastica, umido, ecc. Fuori dalle farmacie ci sono appositi bidoni per medicinali scaduti. Poi succede che per pigrizia uno sbatte tutto dentro a un unico contenitore o che il camion destinato alla raccolta carichi tutto insieme. Le statistiche dicono che solo una piccola parte della nostra popolazione fa la raccolta differenziata. E che una gran parte getta rifiuti tossici vicino a campi coltivati, incurate dei danni non solo agli altri ma anche a se stessi. Pochi hanno capito che i rifiuti possono essere una risorsa: ripeto fino alla noia, siamo diventati un paese di cialtroni arretrati. Voglio dire un’altra verità che altri tacciono per non essere accusati di razzismo: il degrado delle città è dovuto in gran parte all’immigrazione, interna ed esterna, gente disabituata al convivere civile e solidale.

Ovviamente i rifiuti sono frutto della industrializzazione. Una volta, parlo degli anni 50-60, non c’erano in giro troppe scatole, plastica e confezioni. Ogni negozio era specializzato in qualche cosa: drogheria, salumeria, latteria e vendeva i prodotti al minuto. Il latte (freschissimo e saporito) lo andavi a prendere in una latteria dove con un mestolo si raccoglieva la quantità richiesta da una catinella che veniva poi sversata in un contenitore portato da casa. Il vino lo compravi sfuso e lo mettevi sempre nella stessa bottiglia. Difficile che alla fine della giornata il “rusco” (così si chiamava in Emilia la spazzatura) riempisse un sacchetto di carta. Ogni due giorni passava il “ruscarolo”: aveva un carretto trascinato da un cavallo e avvisava la gente del suo arrivo dando fiato a una trombetta. Qualcuno dice che la parola rusco è l’acronimo di Rifiuti Urbani Solidi Comunali: l’ha visto scritto sui primi bidoni della spazzatura usati dal Comune di Bologna. Ma non credo sia così: io “rusco” l’ho sentito dire fin dai primi anni 40 del 900.