martedì 29 ottobre 2013

LE MIE PASSIONI - Il tango


Amo tutta la musica, fuorchè il jazz freddo e la musica da camera. Ogni altra armonia mi rilassa, mi scalda il cuore. Compresi la musica country e gli jodel. In casa ho chitarra e tastiera, che suonavo (male) da autodidatta. La musica che mi suggestiona maggiormente è il tango, che è stato definito “un pensiero triste che si balla”. I passi di danza inducono sensualità e seduzione, eleganza e passionalità. Tutto il corpo è impegnato ad esprimere queste sensazioni: dalle gambe alle braccia, dalla testa al tronco. Le note sono struggenti, intense e penetranti, fanno vibrare il corpo: si balla senza sorriso e con profonda spiritualità. Uomo e donna si immergono nel loro sogno, occhi negli occhi, il cuore che batte forte. Il tango, oltre che musica, è un momento magico dell'anima. E volendo, è anche curativo. Il responsabile della Prevenzione Antisclerosi del Centro Cardiologico Monzino di Milano ha detto: "Oltre a favorire la socializzazione, a ridurre lo stress e a dare una carica emozionale positiva, migliora la forza, il coordinamento e la stabilità del corpo, aumenta la velocità dei movimenti e può agire a favore del cuore". Le sue origini risalgono alla fine dell’800 e vengono collocate sul Rio de la Plata, fra Argentina e Uruguay. Oggi si assiste ad un fenomeno sociale: dovunque nel mondo, da inizio millennio, sono sorte centinaia di scuole di tango. Che dicono siano luoghi di svago e di evasione ma anche di crescita personale: specie fra i giovani trentenni. E’ una specie di rinascita, che scaturisce forse dal rigetto di quella accozzaglia di note sparate contro il limite dei decibel e nel cervello dei ragazzi, definita anche musica “moderna”. Quella musica non si balla e non si ascolta: ti agiti come un automa rincretinito e basta. Il tango, se vuoi capirlo, ti entra sottopelle e ti regala vita. La Cumparsita, A media luz, Caminito, Jalousie, Adios pampa mia, El Choclo, Adios muchachos ne sono la dimostrazione più eclatante. Provate ad ascoltare questi brani ad occhi chiusi e magari imparate a ballarli. Vi sentirete diversi.

domenica 27 ottobre 2013

RIFLESSIONI - E vissero felici e contenti


Parere personalissimo: Halloween è la festa più insulsa che si potesse inventare, non ne capisco il senso. L’hanno riesumata gli americani (i soliti americani!) andandola a pescare dalla cultura celtica e storpiandone il senso. Ne è simbolo una zucca tenebrosa intagliata in modo da sembrare un teschio. Si dice: Felice Halloween!!! Felice? Se vedi qualcosa che impaurisce sei felice? All’inizio era una cosa per bambini, e questo è già deplorevole. Poi è dilagata nel mondo dei grandi mai cresciuti, che nell’occasione si travestono da fantasmi ghignanti, morti viventi rimbambiti, streghe col bitorzolo sul naso, vampiri sanguinolenti. Un divertimento che non ti dico!
Rifletto e rilevo che da che mondo è mondo le favole sono sempre state dispensatrici di angosce. Gli esperti dicono che servono ai bambini a sconfiggere le loro paure. Sarà, ma non ci credo. Hansel e Gretel dei fratelli Grimm, è la favola forse più celebre. Sono due bambini lasciati dal padre in mezzo a un bosco tenebroso: oggi si chiama abbandono di minore. Cammina cammina e cammina arrivano a una casetta. La proprietaria è una vecchia strega abituata a mangiare i bambini. Finisce che Gretel spinge la vecchiaccia nel fuoco del camino e la brucia viva. E vissero tutti felici e contenti. E’ più o meno quello che capita a Pollicino. E’ il più piccolo di sette fratelli abbandonati (dove?) nel bosco dai genitori che non sanno come mantenerli (ma non potevano farne meno?). Anche quei sette bambini camminano e camminano nel bosco tenebroso finchè arrivano davanti a un palazzo: lì abita un Orco che quando ha voglia di carne fresca mangia bambini. Pollicino, che ne sa una più del diavolo, scopre che l’Orco ha sette figlie, tutte con una piccola corona in testa. Frega le corone e le mette in testa ai suoi fratelli. Così l’Orco, preso dai morsi della fame, quando in piena notte si avvicina ai lettini per sgozzare le sue prede taglia la gola alle sue figlie. E' omicidio plurimo. Pollicino, che intanto si era segnato la strada con briciole di pane, scappa con i suoi fratelli. Ma l’Orco li insegue con i suoi stivaloni delle sette leghe. Nel momento in cui si ferma a dormire, Pollicino gli sfila gli stivali e corre dalla moglie del mostro e le dice che suo marito è stato rapito e che bisogna pagare un riscatto. Quella deficiente dell’orchessa gli consegna tutto l’oro che ha e Pollicino torna a casa sua e regala l’oro ai genitori che lo avevano abbandonato assieme ai suoi fratelli. Da quel momento naturalmente vissero tutti felici e contenti. Meno truce è la storia di Cappuccetto Rosso e della sua mamma che – incosciente – la manda da sola a casa della nonna in mezzo al solito bosco raccomandandole di stare attenta al lupo cattivo; la piccolina incontra il lupo malvagio il quale corre dalla nonna, se la mangia e aspetta la futura vittima. Fortuna che arriva un cacciatore che ammazza il lupo cattivo. Poi lo squarta e dalla pancia tira fuori la nonna ancora viva. 
Poi ci sono altre storie, meno truculente. Biancaneve si becca una mela avvelenata da una stregaccia, un’altra vecchia malvagia vuol far fuori la Bella Addormentata. Nel bosco, naturalmente. Meno male che poi tutti vivono felici e contenti. A Pinocchio va un po’ meno peggio: Mangiafuoco lo tiene solo in gabbia ma non se lo vuole mangiare; il padre di Pinocchio invece viene divorato da una balena ma poi anche lui se la cava. Anche stavolta finiscono tutti felici e contenti.
I genitori che raccontano queste favole dicono: Stanno così attenti, non fiatano… Per forza, hanno addosso una fifa blu! Per carità, non contesto il parere di autorevoli esperti che dicono che queste favole fanno un gran bene ai bambini. Esprimo solo qualche dubbio in proposito. Chissà se i figli degli esperti non hanno paura del buio o vanno di notte in un bosco col sorriso sulle labbra. E soprattutto: chissà se questi esperti che analizzano le favole “istruttive” hanno mai chiesto ai bambini che cosa ne pensano di queste storie orribili o se non preferiscano vedere un bel cartone di Tom e Jerry.

RIFLESSIONI - L'ossessione del sesso


Non so se sia sempre stato così ma è certo che adesso viviamo in un mondo ossessionato dal sesso. A cominciare da chi ci deve governare. Nel 1998 Bill Clinton aveva la stagista sotto il tavolo. Nel 2007 il senatore americano Larry Craig fu arrestato per aver tentato di fare sesso in un bagno pubblico con un poliziotto in borghese. Nel 2011 il francese Strauss-Kahn, presidente del Fmi, fu arrestato a New York con l’accusa di tentato stupro di una cameriera. Per il nostro Berlusconi nel 2010 è stato ripescato dalla cultura indigena indonesiana il termine “bunga bunga” in riferimento a presunti festini casalinghi. Nell’ottobre 2013 in Gran Bretagna è stato arrestato il vicepresidente della Camera dei Comuni per abusi sessuali su due ragazzi. La lista sarebbe lunga ma mi fermo qui: dove c’è potere e denaro ci sono maniaci del sesso. Adesso il fenomeno però pare aver invaso ogni strato sociale. Sociologi e psicanalisti si scannano per spiegarne il perché e non sanno dare una risposta certa. Anche se pare che Youporn abbia dato una bella spinta all’andazzo, assieme all’invenzione del Viagra e della pillola del giorno dopo. E assieme alla “liberazione” delle donne, sempre più disinibite. Rihanna, Lady Gaga e altri idoli dei giovani fanno a gara a chi si mostra più spogliata e sconveniente: Miley Cyrus a Londra ha cantato nuda, Lady Gaga alla fine di un suo brano si è tolta le mutande e se ne andata lentamente a culo nudo mentre il pubblico andava in delirio. Le giudico minorate psichiche, anche perchè non sanno il danno che fanno alle donne stesse. Forse è anche colpa loro se adesso dilagano le baby-prostitute che, svergognate, si danno via per i soldi che servono al trucco, ai bei vestiti, alle borsette griffate.
Oggi tutto è sesso. E la pubblicità cavalca il fenomeno con slogan a doppio senso: “Fidati, te la do gratis. La montatura”, dice una prosperosa ragazza ammiccando dai cartelloni. La montatura degli occhiali, s’intende. Per catturare l’attenzione si usa la parola magica: “SESSO SESSO SESSO – E ora che abbiamo attirato la vostra attenzione vi invitiamo nel rispetto di tutti a tenere un tono di voce moderato. Grazie.” diceva il cartello esposto davanti all’Osteria Mavi di Roma. A fine novembre 2013 una catena di ristoranti canadesi per pubblicizzare una propria guida si è inventata cibi a forma di genitali. Sono diventate famose le ucraine Femen: da alcuni anni protestano a tette nude contro il turismo e la discriminazione sessuale, una di loro nel gennaio del 2013 si è mostrata con i capezzoli al gelo anche in una piazza gremita di gente che ascoltava Papa Ratzinger, non ricordo a che cosa fosse dovuta quella dimostrazione. Un'altra un anno dopo per non essere da meno si è esibita davanti a Papa Francesco. A Natale 2013 un'altra di queste esaltate ha fatto irruzione con i capezzoli al vento durante la messa a Colonia. Ad ogni occasione, adesso le donne si spogliano in pubblico. A mio parere se vai in giro a tette nude incrementi il turismo sessuale, ma forse sono troppo in là con l'età per capire certe cose. No invece, ho ragione io. Sono delle povere mentecatte. Da ringhiudere in un ospedale psichiatrico.
A Los Angeles ogni anno c’è il festival del porno. “Cinquanta sfumature di grigio”, scritto da un’inglese nel 2011, è diventato un bestseller dell’erotismo ed è stato tradotto in film. E pensare che ai miei tempi si leggeva di nascosto l’innocente “L’amante di Lady Chatterly”, scritto nel 1928, subito tolto dalla circolazione per oscenità e poi riapparso in Europa nel 1960: per la prima volta si faceva cenno alle fantasie e ai desideri delle donne e questo pareva sconvolgente. Il tema della pedofilia invece veniva sottinteso nel romanzo di Nabokov "Lolita", del 1955. Tutta roba all'acqua di rose, comunque. In Germania in tv c’è “Make Love”, un reality del sesso che dovrebbe insegnare i segreti del piacere. Da noi Rocco Siffredi, ex pornoattore, sul piccolo schermo insegna alla sua maniera a tener vivo il desiderio. L’ultima trovata è di una compagnia tedesca, che ha inventato la vodka al sapore di tette: il liquore viene cosparso sui seni di prestanti ragazze e poi imbottigliato, così – dicono – ne conserva il sapore.  Una vera e propria perversione. Eric Cantona, calciatore francese ed ex del Manchester U. ha recitato (?) in un film porno, adesso sono stati offerti 7.800 euro ad Asprilla, ex del Parma, per fare un film del genere: pare che abbia un attrezzo spropositato (lo rivelò Buffon in una intervista) e questo naturalmente è fondamentale per la “recitazione”. Alcuni scienziati definiscono questa ossessione per il sesso una vera e propria malattia. Paradossalmente pare che nelle coppie dopo il primo anno di matrimonio il calore si affievolisca. Con grande piacere dei medici che adesso si specializzano nelle disfunzioni erettili o nella eiaculazione precoce. E nelle ristrutturazioni delle vagine un po' consunte dagli anni. Io sono vecchio e non capisco, ma penso che la gente sia impazzita. E tutto questo sinceramente mi fa schifo.

giovedì 24 ottobre 2013

RIFLESSIONI - Un mondo di giochi


Se ti guardi in giro ti viene subito da pensare che stiamo allevando generazioni di bambini felicissimi, appagati e sempre sorridenti. Nei supermercati ci sono enormi reparti colmi di giocattoli di ogni tipo, dalle bambole agghindate come fotomodelle alle automobiline a motore, dagli eroi dei cartoni animati ai pupazzi di plastica e ai pelouches. Le stesse cose le vedi nelle cartolerie e nei negozi specializzati. E poi ci sono i parchi-giochi, contenitori di divertimenti assortiti: da Mirabilandia a Gardaland e a Fiabilandia, dalla stupefacente Legoland in Germania alla mirabolante Disneyland di Parigi. 

Viviamo in un’epoca di esagerazioni, e queste toccano anche il mondo dei bambini. Inutile poi venire a dire: si stanca subito di un gioco… E’ ovvio, quando la scelta è sterminata succede così: subentra la noia, in attesa della prossima novità. Mi viene spontaneo pensare alle poche cose di cui un tempo disponevano i bambini per divertirsi e passarsi il tempo. All’aperto c’erano i giochi con le palline nelle piste scavate nella terra o nella sabbia, le gare di tappi di latta su una pista disegnata sui marciapiedi col gesso, rubabandiera, nascondino. In casa c’erano gli eterni “giochi da tavolo”, dal Monopoli (inventato dagli americani nel 1935) ai Puzzle (risalgono al 1760), dal Gioco dell’Oca (1560, origine italiana), alle costruzioni con pezzetti di legno poi trasformati da un danese nel 1949 nei cosiddetti Lego. Le bambine giocavano con le bambole di pannolenci (la ditta torinese Lenci le produsse dal 1919), i maschietti con le automobiline di latta. 
Personalmente ricordo che da piccolo mi fabbricavo delle macchinine con la terra-creta, la terracotta insomma: con le mani plasmavo un rettangolo, con un temperino intagliavo cofano e sportelli poi aggiungevo le quattro ruotine che ovviamente non giravano; quando ne avevo voglia, e se in casa trovavo della vernice, le lasciavo seccare e poi le coloravo. Erano piccoli gioielli. Bè, era una bella sensazione davvero crearsi qualcosa da solo! Il mondo è andato avanti e com’è giusto che sia molte cose del passato sono scomparse, compresi giochi e giocattoli. Ma assieme ad essi sono scomparsi anche la fantasia e la creatività. 
 Adesso è tutto già fatto, suggestivo certo, ma magari pauroso. La soddisfazione del possesso di un gioco dura lo spazio di un sorriso, quando è possibile farlo. Perché oggi in commercio ci sono anche giochi da paura o che comunque non lasciano tracce di serenità: accanto ai giocattoli “educativi” ci sono mostri, alieni, vampiri, robot, guerrieri attrezzati apposta per combattere e distruggere; i Gormiti vengono esaltati per la loro “forza devastante”, per esempio; c’è un tale Lord Magor definito come “il male più oscuro”. Mi piacerebbe sapere cosa passa per la mente di coloro che si inventano orrori del genere. Dicono che anche questi sono educativi, per aiutare i bambini ad esorcizzare le loro paure. Roba da psicanalisti. Psicanalisti – dico - per coloro che inventano questo tipo di giocattoli. Forse qualche ragazzino alle prese con facce feroci o fiamme sputate si divertirebbe di più se talvolta provasse il Gioco dell’Oca o il Monopoli. 


mercoledì 23 ottobre 2013

RIFLESSIONI - La mania dell'inglese


Abbiamo il ministero del welfare, politici, televisioni e giornali sproloquiano con grande disinvoltura della service tax, della spending review  (che sarebbe la revisione della spesa pubblica) e di streaming, inducendo la gente comune a chiedersi di che cosa si stia blaterando. Trovo ridicola e abbastanza stupida questa mania di sconvolgere la nostra lingua: siamo un paese che in generale non sa parlare né capire quella lingua universale che è diventato l’inglese eppure ne adottiamo parole in quantità smisurata, più di ogni altra nazione. Una volta ho sentito alla tv un giornalista addirittura dire “plas”, inglesizzando il latinissimo “plus”. Nelle pubblicità si reclamizzano i telefonini "mobail" storpiando l'italianissimo "mobile" (dal latino "movere", muovere). Questo che sto scrivendo è un "post": leggo su qualche vocabolario che è parola inglese. Col cavolo! Gli inglesi l'hanno preso dal latino "positus"! "Occupy" adesso va tanto di moda e viene tronfiamente detto senza sapere che deriva dal latino "obcapere", prendere possesso. Ultimamente dilaga la parola "selfie": vuol dire autoscatto ma vuoi mettere dirlo in inglese?! Fai un figurone. Nelle offerte estive o nei viaggio viene trionfalmente detto che è "all inclusive": tutto compreso era forse troppo difficile. C'è una interessantissima trasmissione tv, si chiama "coffee break": era troppo volgare chiamarla pausa caffè? Su un  giornale ho letto un titolo che sicuramente era destinato ad appassionati di enigmistica: "Crowdfunding per l'Ijf". E un altro ancora: "Moovely ti dà un passaggio, la nuova app del carpooling". Incomprensibile ai più. Tempo fa il Ministero dell’Interno ha avviato una campagna contro il femminicidio mettendo in circolazione T-shirt ("maglietta" non andava bene eh?) con la scritta “No more feminicide”: d’accordo che il fenomeno è internazionale ma sarebbe stato tanto vergognoso scrivere “Non più femminicidi”? La ex Ministro Fornero ebbe a dire che i giovani sono "choosy" (schizzinosi) inducendo tutti ad andare a sfogliare il dizionario per vedere se fosse un insulto o un complimento. La mostruosità più orribile l'ho letta qualche giorno fa: in un libricino di storie sulle Winx (cartoni per bambini) si dice che le piccole fate hanno fatto "un master di magia". Un master di magia?????? Vallo a spiegare cos'è a una bambina di 5-6 anni. Chi ha scritto una cosa del genere è uno fuori dal mondo: era proprio necessario usare la parola master quando la nostra lingua propone "scuola" o "corso"? Il fascismo fece una crociata contro quella consuetudine già emergente negli anni 20, talvolta rendendosi patetico: il gol di una partita di calcio per esempio divenne “porta” o “rete”, il bar venne chiamato "mescita" e il cocktail "bevanda arlecchina". Non pretendo tanto, in tempi di globalizzazione. Mi vanno bene parole che sintetizzano un concetto meglio dell’italiano, come blitz o boom o stop, ma non accetto che una squadra sia diventata un team, che la pausa pranzo si chiami break, che un periodico sia un magazine, che per dire spazzatura si debba ricorrere a trash o che il biglietto debba essere chiamato ticket e lo spuntino uno snack. Siamo dei provincialotti: abbiamo una delle lingue più armoniose ed espressive del mondo ma crediamo di elevarci pronunciando (spesso storpiandole) parole di altra estrazione.

RIFLESSIONI - La tv canaglia


 La tv è una trappola micidiale. Come il fumo o l’alcol. Assunta con moderazione può anche farti bene, in dosi massicce ti crea danni. A lungo dà assuefazione, e questo è il male peggiore. Ultimamente, da pensionato, combatto contro la tentazione di abbandonarmi sul divano. Mi piacciono i documentari e le inchieste giornalistiche, ma cerco di stare davanti a quello schermo il meno possibile. Perché uccide la fantasia, sopprime la possibilità di colloquio, toglie la voglia di muoversi. Ha affossato il cinema e il teatro, ha stangato i giornali che già erano poco letti. Ha incrementato la vendita di occhiali e di apparecchi acustici. I genitori le hanno delegato il compito di educare i figli o ne hanno fatto uno strumento per non essere disturbati. La tv pare avere ipnotizzato la maggior parte di noi e condizionato i nostri comportamenti. Uno arriva a casa stanco dal lavoro e la prima cosa che fa è accenderla o sedersi davanti alla tv già in funzione. Si mangia guardando la tv. La sera, magari si va a letto col televisore acceso per addormentarsi prima. La tv è carogna, ti può catturare senza più darti possibilità di scampo, siamo schiavi del telecomando, facciamo zapping con assiduità maniacale fra i vari canali che adesso sono anche “tematici”. Puoi scegliere tra filmini polizieschi, telenovele, avvenimenti sportivi, cartoni animati, chiacchiere di ogni genere, programmi di cucina fatti anche da chi non sa cucinare, donne seminude ad ogni angolo, televendite, trasmissioni con pacchi o risposte da indovinare. Una volta – dal 1957 al 1977 - c’era “Carosello”, adesso la pubblicità ci viene elargita con perversa frequenza.: esiste la pubblicità interrotta di tanto in tanto dai programmi.

 Ormai la tv ha stroncato anche se stessa: è senza fantasia. Da anni non c’è niente che possa essere paragonato a “Lascia o Raddoppia” di Mike (1955), al "Processo alla tappa" di Sergio Zavoli (1962-1969), a “Portobello” di Tortora (1977), al “Costanzo Show” di Maurizio Costanzo (1982) o a “Quelli della notte” (1985) del geniale Renzo Arbore. Di oggi, salvo "Striscia la notizia" in onda dal 1988 e "le Iene" dal 1997: due programmi apparentemente leggeri ma che a loro modo fanno giornalismo d'inchiesta.  Siamo partiti nel 1954 con un solo canale e qualche ora di programmi giornalieri, adesso i canali sono centinaia e funzionano 24 ore su 24. Ci sono mille programmi di cucina, altrettanti talk show: roba che assimiliamo impotenti a reagire. Credo che la storia dell’umanità andrebbe divisa a seconda delle invenzioni che ci hanno cambiato la vita. Prima e dopo le auto, prima e dopo gli aerei, prima e dopo la televisione, prima e dopo internet. Io ho vissuto la mia adolescenza quando ancora non c’era la televisione. Ricordo che giocavamo di più, parlavamo di più, leggevamo di più, eravamo più attivi e fantasiosi. Poi a stupirci arrivò la tv, novità sensazionale e stravolgente. Una svolta epocale. Si andava in casa dei vicini più agiati a vedere “Lascia o raddoppia” di Mike Bongiorno. I bar si erano attrezzati con file di sedie per la gente che a sera scendeva a farsi incantare davanti allo schermo; sotto il televisore c’era bene in vista un grande cartello: “consumazione obbligatoria”. Possedere un proprio televisore era la maggiore ambizione di ogni famiglia. Oggi in ogni casa ce ne sono anche 3 o 4, apparecchi piatti e non più gli scatoloni di una volta, schermi sempre più giganteschi.L’ha detto la tv!”, affermiamo con convinzione: come se da quell’affare uscissero solo verità consacrate. Apparire in tv, anche per caso, equivale a un salto di qualità nella considerazione degli altri: “Ti ho visto in tv!!!!”, si dice con un sorriso fra l’invidia e il compiacimento. Come se l’”apparizione avesse qualcosa di miracoloso. E invece l'esito può essere drammatico: il "disturbatore pubblico" Gabriele Paolini - figlio 40enne di un generale dell'esercito e di una cantante lirica -  è diventato a suo modo famoso per essersi intrufolato nelle inquadrature di servizi esternando insulti e idiozie, tanto che molti giovani o minorenni ne sono divenuti ammiratori. Al punto di sottomettersi alle sue voglie isane. Il tragico di questa cosa è che parecchi programmi tv ne hanno fatto un protagonista, chiamandolo in studio: una cosa aberrante che la dice lunga su cosa sia diventata la cosiddetta informazione. Solo un giornalista, nel 1998, ebbe il coraggio di prenderlo a calci: Paolo Fraiese. Gli altri l'hanno subìto e nessuno si è preso il disturbo di internarlo in un ospedale psichiatrico come sarebbe stato giusto. Adesso è internato, in carcere. Per induzione alla prostituzione minorile.

sabato 19 ottobre 2013

AMARCORD - Le folli notti al Guerino


Una delle più interessanti iniziative del “Guerin Sportivo” nella sua storia centenaria è stato il “Film del Campionato”: l’aveva ideato Italo Cucci, direttore, a metà degli anni 70. Ogni settimana 16 pagine del giornale venivano riservate a foto, tabellini e disegni (di Paolo Samarelli) relativi alla precedente domenica di campionato, che poi i lettori raccoglievano e conservavano per rilegarle a fine stagione in modo da avere in mano il riassunto dell’intera annata calcistica. Nel 1987 Marino Bartoletti perfezionò l’idea: il Film del campionato veniva pubblicato la domenica stessa delle partite. E questa fu un’avventura straordinaria. Allora non c’erano le foto digitali né internet per trasmetterle in redazione.

 Ogni domenica il Guerino spediva uno o due fotografi sui campi della Serie A. Il problema nasceva quando si trattava di fare arrivare le foto a Bologna in tempo utile - cioè entro le 11 di sera - per sviluppare le pellicole, selezionare le immagini e impaginare. Qui entrava in scena la fantasia, l’incoscienza, lo spirito di sacrificio di quei folli fotografi. C’era qualcuno come il “magico” Guido Zucchi o il “pazzo” Bellini che erano capaci di mettersi in macchina a Lecce e arrivare a Bologna in meno di 5 ore. C’era qualcun altro, come Paolo Cassella, che dopo aver fatto la partita della Roma o della Lazio, si precipitava ad un punto convenuto per raccattare i rullini che arrivavano da Cagliari o da Bari per poi correre all’aeroporto o alla stazione e imbarcarli su un aereo o un treno. Capozzi, da Napoli, se per un ingorgo perdeva la possibilità di consegnare le sue foto, inforcava la macchina e ce le portava fino in redazione. Calderoni, quando batteva i campi del nord, si fermava al casello di Piacenza ad aspettare le foto che arrivano da Genova o da Bergamo.; aspettava impassibile, non perdeva mai la calma se qualcuno accusava pesanti ritardi. Tutto questo con sole o pioggia, neve o nebbia. Dietro a tutto ciò c’era un incredibile lavoro di coordinamento affidato a Maurizio Borsari, la cui fantasia non conosceva limiti. A volte il recupero delle fotografie avveniva attraverso le vie più inimmaginabili. Da Bari capitava che ce le portasse il mediano Angelo Colombo, che ogni domenica sera tornava a Milano e a Bologna aspettava al casello un nostro fattorino; oppure lo stesso mister Salvemini, che dopo la partita tornava in famiglia a Reggio Emilia. Le foto della Samp spesso le dovevamo alla cortesia di Pari, quelle della Juve a una tifosissima bianconera che abitava a San Lazzaro, la Rosa. Spesso entravano in gioco anche arbitri, capotreni, piloti di aerei: tutti straordinariamente disponibili e mobilitati per fare arrivare in tempo al Guerino le immagini delle partite. E spesso accadevano episodi curiosi. Una volta a Roma il mitico Cassella aveva perso l’aereo. Si precipitò in stazione. Fermò il primo passeggero “affidabile” in partenza per Bologna e gli chiese se poteva portare un pacchetto di rullini. Il passeggero era un prete. Si mise a strillare come un’aquila, chiamò la Polfer urlando che uno sconosciuto voleva appioppargli, forse, una bomba. Cassella solo dopo un’ora riuscì a chiarire l’equivoco. Le foto, quella volta, arrivarono con grandissimo ritardo. Ma arrivarono.

Una volta giunte in redazione le pellicole venivano portare allo sviluppo presso il laboratorio di Franco Villani, distante una decina di km dal Guerino. Poi Villani portava le diapositive in redazione e il direttore e i suoi più fidati collaboratori sceglievano le migliori per impaginarle assieme ai disegni di Samarelli che intanto erano arrivati via fax. A raccontarla così oggi sembra una follia. Forse lo era. Ma quando alle 5 di mattina te ne tornavi a casa per andare a letto, ti sentivi di aver “creato” qualcosa di importante. Per te e per i lettori.




venerdì 18 ottobre 2013

AMARCORD - Quei giorni a Grado, da Nico


 Negli anni 70 i calciatori non andavano in vacanza ai Caraibi, alle Maldive o a Ibiza (che allora nessuno conosceva). Andavano invece a Rimini o Viareggio dopo essere stati una settimana a Grado, in provincia di Gorizia. Lì, e a Lignano, facevano le cure termali. A me, giovane redattore di “Stadio”, era toccato il compito di fare “le interviste estive”, a luglio. Ci andai per parecchi anni di seguito (270 km con la 500 di mio padre, non si arrivava mai), e a lungo andare la cosa anziché annoiarmi divenne divertente. I calciatori in vacanza frequentavano la modesta locanda di Nico, "Alla fortuna", che nel 2010 è stata tirata a nuovo e chiamata “Nico – Antica Trattoria Alla Fortuna”. Nessuno rifiutava dieci minuti di chiacchiere rilassanti, che io poi spalmavo su una pagina intera, condita con inedite foto a colori. Ad un certo punto divenni così "di famiglia" che non occorreva più che andassi a cercare i calciatori: venivano loro da me, che stavo seduto a un tavolino, magari convocati da Nico stesso: Fai un salto qui che c’è Facchinetti…. In quel periodo mi feci tutti i giocatori più popolari: Gigi Riva era in apparenza sempre riservato e serioso, ma una sera spalmò del burro sulla schiena di un collega; Fabio Capello, bellissimo, si teneva i baffetti e amava scorrazzare sulla spiaggia con una “dune buggy”; Marcello Lippi, gentile ed elegante, la prima volta gli andai a parlare al “Sans Souci”, un localino dove si faceva musica. Le mie interviste divennero così popolari che Nico tappezzò le pareti della sua locanda con le mie pagine di “Stadio”. Colto da un soprassalto di nostalgia, alcuni anni fa con mia moglie sono tornato a Grado: sempre bellissima ma tutto cambiato, parcheggi intasati di auto, nessun calciatore in giro. E la locanda di Nico trasformata in maniera irriconoscibile, bellissima ma non più la “mia” locanda. Non bisognerebbe mai guardarsi indietro…

giovedì 17 ottobre 2013

AMARCORD - La Comaneci al pianoforte

Duilio Fenara era un procuratore sportivo, svolgeva il suo lavoro soprattutto con i pugili ma frequentava ogni branca dell’attività sportiva. A metà degli anni 70, stanco di girare il mondo, aveva acquistato alla periferia di San Lazzaro di Savena una vecchia casa da contadini con annesso fienile. L’aveva scelto proprio bene, il posto dove riposarsi. Era un posto magico, situato in mezzo alla campagna bolognese, là dove gli ultimi contrafforti dell’Appennino tosco-emiliano si fondono con la pianura. Di fianco alla casa, un laghetto artificiale scavato fra pini, abeti e querce. Ci si arrivava percorrendo una strada sterrata che con un ponte scavalcava il torrente Zena e  che finiva lì. Era la pace assoluta. Anni dopo anche Gianni Morandi sarebbe andato a vivere da quelle parti, poche centinaia di metri distante dalla casa di Fenara. Comprandosi e ristrutturando un’antica ed enorme casa e, per stare tranquillo, anche la collina che la sovrastava. Detto per inciso, dietro quella collina, c'è la villa di Alberto Tomba. Ma prima di Morandi c’ero andato io, a un chilometro dallo “Chalet del Lago”: così Fenara aveva chiamato la sua casa dopo averla trasformata in locanda. Quella locanda era diventata in poco tempo il ritrovo di appassionati di sport, ti capitava ad esempio di incontrare Amaduzzi, il manager di Nino Benvenuti, o qualche giocatore del Bologna. Era un traffico continuo di vecchie e nuove glorie sportive. Anche perché poco distante c’era la trattoria di Romano, presidente del San Lazzaro Calcio, e dunque altro polo d’attrazione. Cominciai a frequentare la locanda di Fenara quando ancora non abitavo lì. Sua moglie faceva dei tortellini da fine del mondo e un risotto ai funghi da sballo: ci andavo con moglie e figlio piccolo quando sentivo il bisogno di una mezza giornata di completo relax. Un giorno del 1977 Duilio mi chiamò e mi disse che avrebbe ospitato nel suo Chalet la Nazionale di ginnastica della Romania, mi interessava? Mo sorbole se mi interessava! C’era la grande Nadia Comaneci, fresca dei trionfi delle Olimpiadi di Montreal dove aveva vinto 3 medaglie d’oro, una d’argento e una di bronzo. Miglior posto per stare in pace e lontana dai clamori della stampa non avrebbe potuto trovare. Passai un pomeriggio intero con la giovane Nadia (aveva 15 anni), le feci una lunghissima intervista esclusiva pubblicata il giorno dopo su “Stadio”, soprattutto la scoprii come bambina “libera”, per qualche ora spogliata della sua fama. Correva sul prato attorno al lago, suonava il pianoforte che era piazzato appena dopo l’entrata, rideva e scherzava con le compagne. Anni dopo Fenara se ne andò da lì, col figlio musicista aveva aperto una osteria da un’altra parte, in una via trafficatissima. Lo Chalet del Lago passò di mano in mano ma nessuno seppe attirare tanta gente come lui. E così chiuse. Quella vecchia casa da contadini è oggi un condominio, il laghetto è mezzo prosciugato e non ci si può avvicinare perché un enorme cancello di ferro ti sbarra il passaggio. Adesso, quando faccio la mia camminata quotidiana, mi fermo lì davanti e mi viene da pensare all’amico Duilio, ai tortellini di sua moglie, alle mani di Nadia sulla tastiera.

AMARCORD - Da Cesari con gli arbitri


Nei vicoli del centro storico di Bologna esistono diverse osterie antichissime e cariche di suggestioni. La più vecchia è l’Osteria del Sole, che risale al 1465. Famosissima è l’Osteria de’ Poeti, aperta nel 1600 nelle cantine del Palazzo Senatorio (costruito nel 1400) e cosiddetta perché frequentata da Pascoli e Carducci. Poi c’è l’osteria Da Cesàri. La domenica sera, dopo la “chiusura” del giornale alle 23, noi giornalisti partivamo per una avventura irrinunciabile: andare da Cesàri. Esiste dai primi del 900 e nel 1955 era diventata di proprietà di Ilario, un omone gioviale e allegro. A destra c’era un bancone lunghissimo e scaffali pieni di bottiglie di vino. A sinistra i tavolini per sedersi a mangiare tortellini, tortelloni, tagliatelle accompagnati da un micidiale Sangiovese fatto dal titolare. Entravi e venivi subito travolto dal fitto chiacchiericcio dei commensali e dall’odore acre di vino. Allora lavoravo a “Stadio”, quotidiano sportivo bolognese. Ad andare da Cesàri eravamo soprattutto noi giornalisti del calcio, poi tanti appassionati di sport, fra cui Lucio Dalla. E per un preciso motivo. Lì arrivavano puntualmente gli arbitri che tornavano a casa dopo aver diretto le rispettive partite: arbitri della città o che dal nord scendevano verso il sud. Ricordo il nostro Reggiani, e Monti di Ancona. Anche per loro quella tappa era diventata obbligatoria. Fra una cucchiaiata e l’altra di tortellini ci si scambiava opinioni su quanto accaduto in campionato, le confidenze restavano tali e nessuno si sognava di usarle per articoli del giorno dopo. Verso mezzanotte arrivava un usciere del giornale che portava alcune decine di copie di “Stadio”. “Stadio” intanto era già in viaggio verso il sud su un treno divenuto leggenda: il famoso LB delle 23 e 35. Famoso perché l’orario di partenza da Bologna era fissato non dalle Ferrovie dello Stato ma dall’uscita di “Stadio”: non si metteva in moto se non erano state caricate le copie del giornale destinate al sud. Il tutto, ovviamente, con la complicità dei capotreni che poi per Natale ricevevano un orologio in cambio della loro elasticità.
Da Cesàri, con le copie del giornale in mano, giornalisti e arbitri si facevano improvvisamente silenziosi, tutti a sfogliare le pagine. E dopo di nuovo a commentarle assieme, soprattutto le “pagelle” delle partite: se era presente un arbitro che magari si era beccato un 4, allora ci si metteva a discutere, lui si difendeva spiegando quelli che parevano suoi errori e noi ad ascoltarlo e magari ad assolverlo. Era un bel modo di vivere il giornalismo. Per la cronaca, adesso da Cesàri comanda Paolino, figlio di Ilario: Paolino per modo di dire, è grosso come il padre.

mercoledì 16 ottobre 2013

RIFLESSIONI - I soldi in gioco


Prima della fine della seconda guerra mondiale gli italiani giocavano solo al Lotto, ideato più di 300 anni prima: sulla base di sogni fatti e di altre acrobazie numeriche cercavano di indovinare ciò che una mano anonima estraeva da un vaso. Poi venne il “concorso pronostici” dei risultati del campionato di calcio. L’ideatore fu Massimo Della Pergola, geniale giornalista sportivo nato a Trieste nel 1912. Essendo ebreo, nel 1938 dovette rifugiarsi in Svizzera; si ridusse a fare il mendicante, finì in un campo di lavoro e qui cominciò ad elaborare un’idea: quella di pronosticare i risultati di calcio. Si inventò un sistema semplice quanto efficace: in una partita si doveva indicare con un “1” la vittoria della squadra di casa, con un “2” quella della squadra in trasferta e con una “x” il pareggio. Tornato libero e in Italia alla fine della guerra, nel 1946 fondò la Sisal - Sport Italia, società che gestiva il concorso pronostici. 

La prima schedina - con 12 risultati da indovinare -  apparve il 5 maggio 1946 e fu subito un successo: in un clima di miseria dilagante, erano moltissimi coloro che speravano in un destino migliore indovinando i risultati del campionato. E il successo fu tale che il Coni (e quindi i Monopoli di Stato) nel 1948 divenne titolare della Sisal, chiamò “Totocalcio” il concorso pronostici e con i ricavi finanziò la ripresa sportiva in Italia. La schedina divenne una vera e propria mania, (estesa talvolta anche ad altri sport, come il ciclismo durante il Giro d’Italia) anche per le suggestive pubblicità che la propagandavano: “Migliaia di milionari, milioni di vincitori, miliardi distribuiti”. I risultati da pronosticare diventarono 13: fare "tredici" divenne il sogno di tutti. Per la storia, Massimo Della Pergola non ci guadagnò mai una lira, continuò a scrivere per la “Gazzetta dello Sport”, divenne anche collaboratore di “Stadio” (io lavoravo lì, fu lui a raccontarmi l’origine del Totocalcio). Sul “Guerin Sportivo” Emilio Colombo, celeberrimo giornalista, fin subito aveva giudicato “immorale” e un’autentica truffa ai danni del cittadino quella mania di giocare la schedina. Era un tipo “avanti”.

Il delirio di giocate e di vincite anche consistenti al Totocalcio durò fin verso la metà degli anni 90, quando lo Stato decise di mungere questa insana passione degli italiani facendosi carico di altre analoghe iniziative: il “Gratta e Vinci” è del 1994, il “Superenalotto” del 1997. Il concorso pronostici di calcio, che finanziava il Coni, tentò di replicare inventandosi il Totogol nel 1994, il Totobingo e il Totosei più avanti. Oggi il Totocalcio vive ancora ma praticamente da clandestino e i soldi per lo sport sono sempre meno. I nuovi “giochi” hanno preso il sopravvento dilatandosi in maniera scomposta ed esagerata, grazie alla complicità dello Stato. Recentemente l’agenzia Reuters ha scritto che “l’Italia è il più grande mercato del gioco d’azzardo in Europa”. Nel 2000 gli italiani spendevano 14,3 miliardi l’anno in giochini vari; dopo, con l’avvento incontrollato delle slot-machine, la cifra è cresciuta ogni anno: oggi 30 milioni di italiani buttano circa 120 miliardi fra macchinette mangiasoldi, gratta e vinci, lotto e superenalotto, scommesse varie. Il gioco dà dipendenza, si sa: e oggi i “dipendenti” sono calcolati in circa 700.000. La cosa è dilagata tanto che oggi pare sfuggita di mano allo Stato, che pure l’aveva vergognosamente avvallata: dai vari “giochi” incassa poco più di 10 miliardi di euro.

 

martedì 15 ottobre 2013

LUOGHI E CITTA' - Finlandia, il sogno



Ho girato il mondo, sono stato nei paesi più strani. Ho un rammarico: non sono mai andato in Finlandia. E ce l’ho nel cuore, per vari motivi, soprattutto perchè è un Paese "diverso" dagli altri. Ha una superficie di 338.145 kmq (l’Italia è di 301.340 kmq) e solo poco più di 5 milioni di abitanti (come Roma Milano e Napoli messi assieme), la maggior parte dei quali concentrati in poche città del sud (Helsinki, Turku, Tampere). Quindi il resto è silenzio e tranquillità. E aurore boreali. Ha 187.888 laghi, per dire solo quelli di una certa dimensione, e per questo è chiamata riduttivamente “il Paese dei Mille Laghi”. La sua lingua appartiene al ceppo ungaro-finnico, quindi rarissima e diversa dal resto delle lingue europee. E’ percorsa da un verde sterminato che a nord si inserisce nella leggendaria Lapponia, terra delle renne, che per il 95% è parco nazionale e che è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio universale. Il periodico Newsweek recentemente ha definito la Finlandia come “il miglior paese del mondo”, anche se parecchi finlandesi hanno obiettato: si sta bene ma non è il paradiso. Le tasse sono molto alte (ma i servizi ai cittadini sono adeguati), studiare costa poco o niente, la criminalità è bassissima, ma il numero dei suicidi è stranamente elevato. E’ certo che la Finlandia è una delle nazioni più ricche. Un Paese così scarsamente popolato è sorprendentemente ricco anche di personaggi illustri: dal compositore Sibelius all’architetto Aalto, per citarne solo due. Il suo vanto di ieri è Paavo Nurmi, mezzofondista e fondista di atletica che fra il 1920 e il 1928 vinse 9 ori e 3 argenti olimpici. Il suo vanto di oggi è la Nokia, produttrice di cellulari. 
Sogno la Finlandia dal 1955, quando avevo 17 anni. Al liceo come lingua straniera studiavo il tedesco. Allora si usava mettere in contatto studenti di nazioni diverse che nello rispettive scuole imparavano la stessa lingua. A me toccò una ragazza, credo della mia stessa età, bionda, gli occhi chiarissimi, la figura delicata e armoniosa. Si chiamava Laina Honkonen, abitava a Kivijarvi, poi si trasferì a Saarijarvi. Mi descriveva il suo paese e io il mio. Per Natale mi mandava libri illustrati sulla Finlandia, uno sulla Lapponia. Li conservo ancora, assieme al ricordo di Laina che non ho mai conosciuto di persona. Ci scrivemmo per alcuni anni, un’estate lei venne a fare la cameriera in un paese austriaco proprio per darmi modo di raggiungerla più facilmente, io non potei andarci per problemi di salute. E fu la fine del nostro rapporto. Da allora mi è rimasto il rammarico di non averla potuta incontrare ma soprattutto di non essere mai andato a visitare il suo Paese. Se qualcuno mi legge dalla Finlandia, mi sa dire dov’è oggi la “mia” Laina?

RIFLESSIONI - Il pieno di tasse


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IMU, acronimo di Imposta Municipale Unica, è il tormentone con cui i politici ci hanno afflitto per mesi, tanto che ormai molti pensavano che da esso dipendesse la nostra vita. Toglieremo l’Imu, diceva una parte degli scaldapoltrone del Parlamento sottintendendo: vi salviamo noi. No, guai a toglierla, obiettavano i “sovversivi” che venivano subito guardati in cagnesco. E tutti passavano ore e ore a discutere sulla questione, senza che gli scappasse da ridere. Anzi, erano serissimi. “Esperti del nulla, di cui sanno tutto”, si diceva una volta di chi parlava a vanvera. Il dramma è che qui non si tratta solo di parlare a vanvera ma di essere fuori dal mondo a tal punto da considerare la gente una massa di imbecilli. La questione è semplice. Per fare cose occorrono soldi. Per fare soldi, siccome non si è capaci o non si vuole tagliare le spese inutili (ridurre i parlamentari, abolire le province, azzerare gli enti inutili) o di far fruttare i patrimoni che abbiamo, occorrono le tasse. Hanno tolto l’Imu? Bene, bravi. Tranquilli che quella somma la paghiamo ugualmente, e maggiorata, sotto un’altra voce. Qualcuno ha provato a contare le tasse che ci affliggono: pare che siano un centinaio, forse 107. Il luogo comune corrente è: “Ormai ci tassano anche l’aria che respiriamo”. E magari è vero e non lo sappiamo. Abbiamo famigliarità con l’Iva, l’Irpef o l’Irap. Ma c’è una miriade di balzelli di cui la maggioranza non sospetta nemmeno l’esistenza. C’è persino la “tassa sull’ombra”! Non è una barzelletta: scatta quando la tenda di un locale invade il suolo pubblico. E voi sapete cos’è la Tobin Tax che prende il nome addirittura da un premio Nobel? E’ l’imposta sulla compravendita di titoli azionari. E la Iscop? E’ l’imposta di scopo che un Comune chiede per uno scopo specifico. Poi c ‘è la Tefa, il “tributo per l’esercizio delle funzioni ambientali”, una addizionale della Tares (tassa sui rifiuti) che aveva sostituito la Tarsu e che adesso non c’è più. C’è la Trise che somma la Tari e la Tasi. Anzi, non ci sono più nemmeno queste. Perchè al loro posto è arrivata la TUC, un calderone dentro il quale vengono pigiati balzelli di ogni genere. Anzi, no: da fine novembre c'è la Iuc che chissà come verrà battezzata a gennaio. A questo punto, a quei tipi incapaci e senza pudore che in stato confusionale si inventano queste cose incomprensibili, suggerirei una bella TAC. Al cervello. Non ne uscirebbe niente di buono, ne sono certo.

Immondizia allo stato puro è ciò che sta dentro la benzina. Sulla quale non c’è una tassa nobilitata da un nome, ma un cumulo di assurdità che i vari governi da anni riversano nel nostro serbatoio. Il perché è facile da intuire: siccome l’auto è il bene che più o meno tutti possiedono ed è irrinunciabile, scaricarci dentro le imposte più stravaganti è cosa ovvia. Per dirla in breve: senza le 17 tasse che gravano sulla benzina, un litro lo pagheremmo 721 centesimi. Sapete cosa c’è nel serbatoio? La tassa per il finanziamento della guerra in Etiopia del 1935 e del Libano del 1983, per la crisi di Suez del 1956, per le alluvioni di Firenze (1966) e Liguria e Toscana del 2011, per i terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980) e dell’Emilia (2012); addirittura per il contratto degli autoferrotranvieri del 2004, per l’acquisto di autobus ecologici del 2005, per il finanziamento della cultura del 2011.  Nell'autunno 2013 il ministro dell’Economia e delle Finanze, Saccomanni, ha orgogliosamente detto che “l’Italia è un paese normale”. E’ un colossale bugiardo. Nessuno ha tante tasse come noi e, ovviamente, nessuno ha tanti evasori come da noi. Saccomanni, che vive fuori dalla realtà, a inizio 2014 ha avuto l'impudenza di idire un'altra assurdità: "Nel 2014 caleranno le tasse". Scommettiamo che non è vero?


RIFLESSIONI - Ma dove corriamo?!


"Come passa il tempo! Sembra ieri che…”: è una frase che diciamo tutti. Non ricordo di averla sentita 50 o 60 anni fa. Ricordo invece che al liceo in un tema scrissi che il progresso e la tecnologia ci avrebbero ammazzato. Il professore di italiano mi riprese con asprezza, mi diede un 4 come voto, e mi spiegò che avevo detto una grande fesseria. Non ne sono mica tanto convinto, se mi guardo indietro. Chiaro che la società deve evolversi, altrimenti saremmo ancora all’età della pietra, ma l’accelerazione che la nostra vita ha subito negli ultimi decenni è spaventosa e devastante. Oggi lo stress e la depressione sono malattie diffuse e sono il frutto della velocizzazione della nostra esistenza. Abbiamo inventato il “fast food” che è la più grande stupidaggine che avremmo potuto fare: il “mangiare veloce” ci ha tolto una digestione serena, il piacere di gustare il cibo, la tranquillità di una conversazione a tavola. E il tutto per che cosa? Per “correre”, non si sa dove e a fare chissà cosa. Adesso c’è il treno ad alta velocità: perché dobbiamo “correre” dietro ai nostri impegni sempre più pressanti. Una volta dietro a furgoni e camioncini c'era il cartello "vietato farsi trainare" destinato a chi, in bicicletta, si aggrappava alla sponda per non pedalare. Adesso anche i camioncini sfrecciano come impazziti e se ti attacchi penso che sia un tentativo di suicidio. 

Credo che purtroppo sia una deriva ormai irreversibile anche se molti tentano una qualche resistenza: hanno riscoperto lo “slow food”, hanno tirato fuori la bicicletta in contrapposizione alle auto. Paradossalmente in questa era frenetica che sollecita la velocità, sono stati messi sulle strade i “dissuasori di velocità”, i “rallentatori artificiali” (servono più che altro a scassare le macchine), gli "autovelox". In prossimità delle striscie pedonali si sono inventati le linee che delimitano la carreggiata a zig-zag: sì, perchè altrimenti la auto arrivavano sparate. Rilassarsi e relax sono diventate le parole d’ordine di una generazione impazzita. La nostra esistenza però continua a scorrere con isterica velocità. Mi viene spontaneo pensare ai bambini, costretti da genitori sconsiderati a correre dietro a mille cose: dopo la scuola c’è il corso di danza o di pianoforte, la piscina, la scuola di recitazione o quella di equitazione: e loro crescono in maniera frenetica e stordente. Non sappiamo nemmeno più che cosa ci perdiamo, correndo così furiosamente. Provate a percorrere a piedi un tratto di strada che solitamente vi fate in macchina: scoprirete una infinità di cose mai notate prima.