martedì 4 febbraio 2014

AMARCORD - Il mito di Buffalo Bill


Buffalo Bill è stato il mito di noi ragazzi nati nella prima metà del ‘900. Era l’eroe del selvaggio West americano: dicevi il suo nome e ti apparivano le lotte con i pellerossa, le carovane di coloni lanciate alla conquista di terre sconosciute, i saloon, la caccia ai bisonti, le corse sfrenate dei cavalli nelle praterie, le sparatorie. Libri e fumetti su questo personaggio ne alimentavano la popolarità. L’editore fiorentino Nerbini ci aveva fatto una fortuna e quando la censura fascista gli aveva imposto lo stop alla produzione di fumetti, lui si era inventato la “vera” identità di questa leggenda: Nerbini assicurava che Buffalo Bill in realtà era un italiano di Forlì, romagnolo come il duce. Gli credettero e potè continuare a pubblicare i suoi fumetti. 
Personaggio immaginario questo Buffalo Bill? Tutt’altro. Era esistito davvero, era morto nel 1917 a 71 anni. Ed era un tipo fantasioso, sempre in cerca di avventure. Nato nello Iowa, si chiamava William Cody, era figlio di un uomo poi ammazzato perché contrario allo schiavismo. A 11 anni sapeva sparare, usare il lazo, cavalcare; a 14 guidava i pony express; avrebbe poi partecipato con i nordisti alla guerra di secessione, ammazzando indiani ma poi divenendone amico fraterno. Più tardi avrebbe lavorato per la Compagnia che costruiva ferrovie: il suo compito era quello di procurare cibo agli operai, la sua specialità quella di ammazzare bisonti. In un anno e mezzo ne uccise 4.286 divenendo per questo “Buffalo Bill”. 
Un personaggio così per lungo tempo impersonò ciò che poi sarebbe stato immortalato nei film “western”. E un personaggio così scelse la strada più difficile per portare a conoscenza del suo mondo tutti gli altri paesi: nel 1883, a 37 anni, cominciò a viaggiare col circo di Phineas Barnum portando fra la gente il selvaggio West; una mastodontica compagnia formata da centinaia di cow boys, indiani, villaggi ricostruiti, carri e quant’altro serviva a dare corpo alle fantasie del suo periodo, come le sparatorie nel saloon o gli assalti degli indiani alle diligenze. Si stabilì a nord di Parigi per quattro anni e il mito delle sue rappresentazioni dilagò per l’Europa. Per qualche tempo fu con lui anche il leggendario Toro Seduto (foto sotto), vincitore del generale Custer nella famosa battaglia di Little Big Horn.
In Italia venne due volte, nel 1890 e nel 1906, sostando in complesso in 36 città, dando 119 spettacoli, sempre suscitando enorme interesse e arricchendoli ogni volta con sfide nuove: a Londra si erà già battuto con Dorando Pietri, l’eroe della Maratona di Londra, uomo a cavallo contro uomo a piedi; in Italia, corse a cavallo (cambiandone 10) per 100 km contro un ciclista, Romolo Bruni. L’andarono a vedere anche Giacomo Puccini ed Emilio Salgari. Amava l’Italia perché sua moglie, Luisa Frederici, aveva radici italiane. Anche Bologna ebbe l’onore di vedere Buffalo Bill. La prima volta, nel 1890, arrivò con un treno speciale composto da 18 carrozze contenente 500 persone, capanne, diligenze smontate, bisonti, cavalli, indiani. 
Si stabilirono all’Ippodromo Zappoli, sfilarono per le vie della città per invogliare la gente ad andare a vedere lo spettacolo nonostante l’alto prezzo d’ingresso: 5 lire. L’incasso del primo giorno fu di ben 118.000 lire. Fu lì che i bolognesi cominciarono a conoscere il popcorn e lo zucchero filato, importato dagli Stati Uniti. La seconda volta fu nel 1906, e l’apparato era ancora più imponente: 4 treni speciali. Misero le tende ai Prati di Caprara, di fronte all’odierno Ospedale Maggiore, dove da piccolo andavo a giocare a pallone con i miei amici. Il fatto di aver calpestato la stessa terra su cui aveva cavalcato e “combattuto” Buffalo Bill – come mi avrebbe poi raccontato mio padre – mi sarebbe sempre rimasto dentro.


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