sabato 28 dicembre 2013

RIFLESSIONI - I veri animali siamo noi


Ho visto mia nonna tirare il collo alle galline e mio nonno ammazzare un maiale. Ero molto piccolo e guardavo indifferente, come tutti i bambini di campagna non educati a un certo tipo di sensibilità verso gli animali. Ricordo solo gli acuti stridii del maiale e il singulto secco dei polli. Quelli mi sono rimasti in mente. E se ci ripenso adesso, rabbrividisco. Dopo ho avuto per “amici” un cavallo, alcune mucche, un cane e decine di gatti. E ho scoperto la loro sensibilità, il loro avere dei sentimenti quasi umani. Oggi scaccio le mosce, evito di pestare le formiche, ammazzo solo le zanzare. Un giorno ho salvato un merlo che era entrato nella cappa del camino, un altro ho curato in casa un piccione che si era spezzato un’ala: quando l’ho lasciato andare per un po’ mi ha svolazzato intorno. Amo tutti gli animali, odio le donne che ostentano pellicce di visone, se potessi andrei ad ammazzare i cacciatori di foche e di elefanti che li uccidono per pelle e zanne. 
Non sopporto ogni tipo di crudeltà dell’uomo nei riguardi degli animali, non sopporto anche solo ciò che sfiora la crudeltà: le corse dei cani, le corse dei cavalli (spesso drogati per vincere), il Palio di Siena dove quasi ogni volta muore un cavallo o perché scivolato sull’asfalto o perché imbottito di stimolanti. Faccio il tifo per i tori di Pamplona che, lasciati liberi nelle strade, impazziscono di paura davanti alla gente urlante che si diverte a provocarli e a scappare; godo quando uno di loro riesce a incornare un imbecille per di più incauto. Odio chi importa animali esotici strappandoli dal loro ambiente naturale per il solo gusto di esibirli: una volta in una discoteca di Bologna è stato trovato in una vasca un piccolo coccodrillo. “Sei un animale” si dice per offendere qualcuno. E questo la dice lunga sul persistere di un sentire comune. I veri "animali" sono i ragazzini che ancora si divertono a torturare cani o gatti. E "animali" sono i cacciatori, ipocriti che sparano senza ritegno a cervi, orsi, uccelli e a tutto quello che si muove, compresi altri cacciatori, protetti dalla lobby dei produttori di armi. Hanno inventato il tiro al piattello ma loro fingono di non saperlo: è troppo difficile da colpire, meglio un capriolo che sta brucando o qualche volatile che mettono nel mirino con la scusa di sfoltire la specie. La caccia una volta era una necessità, oggi è un sadico divertimento. E anche ipocrita: pensate che l'hanno chiamata "lo sport della caccia"! Nel 2005 è stata proibita in tutto il Regno Unito la caccia alla volpe, che era una "tradizione" secolare. Una povera volpe veniva individuata, stanata e inseguita da una moltitudine di cani decisi a sbranarla e da un nugolo di "nobili" britannici a cavallo tutti eccitati all'idea di ammazzare quel piccolo animale: questo scappava terrorizzato, cercando una via di fuga, finchè cedeva per sfinimento e veniva fatta a pezzi da cani e cacciatori. Caspita che impresa, questa di quei "nobili"! Il tragico è che la caccia alla volpe è stata ripresa a Premariacco, in provincia di Udine, dove dei sadici soggetti accompagnati da una torma di cani si divertono a rincorrere e ad ammazzare questi animali: lo fanno, dicono, "con finalità sanitarie". Che ipocriti!
Ovviamente ce l’ho a morte con chi allestisce con cinismo combattimenti fra animali chiamando in causa ipocritamente le “tradizioni culturali”, ma in realtà godendo dello spettacolo e vivendo sulle scommesse di altri fanatici. In Italia i combattimenti fra animali sono stati vietati per legge nel 2004. Ma a Palermo proliferano i combattimenti fra cani. Nell’America latina, ma anche nelle Filippine, nel Sud Est asiatico, persino in Francia e in Andalusia, si divertono a guardare due galli che lottano fino ad ammazzarsi: è una cosa nata in Persia nel 4000 a.C. Adesso non ha più senso. Sono inorridito quando ho saputo che in Val d’Aosta si divertono a guardare il combattimento fra due mucche gravide. Era una "tradizione" del 1600, adesso ci si divertono famiglie intere con bambini al seguito. Queste povere mucche non ne vogliono sapere e vengono spinte l’una contro l’altra a bacchettate sul muso. E’ una barbarie inconcepibile nel terzo millennio.  Così come "la tradizione" dei cavalli che vengono lanciati sul fuoco a San Bartolomeo de Pinares (foto sopra a destra), nel centro della Spagna: qui secoli fa una epidemia uccise tutti i cavalli e allora ci fu chi pensò bene di salvaguardare i superstiti lanciandoli attraverso il fuoco per "purificarli". Oggi si divertono un sacco a vederli nitrire spaventati mentre per tradizione si purificano. Disgustoso.
Ma la cosa più oscena è la corrida, tipica della Spagna, dell’America meridionale, ma anche del Portogallo e di certe zone del sud della Francia. Alle Canarie l’hanno vietata nel 1991, in Catalogna nel 2012. 

C’è un toro che viene fatto infuriare infilzandolo con la punta di una lancia. Entrato nell’arena, viene ancora provocato da uomini a cavallo che gli piantano nel dorso punte acuminate. Saranno dieci contro uno: che coraggio eh? Poi entra, acclamato dalla folla, un cretino tutto bardato a festa chiamato torero il cui compito è quello di finire il toro. Prima lo provoca sventolandogli davanti al naso un pezzo di stoffa rossa: il toro ferito lo attacca e quello si scansa, e la gente va in delirio perché il toro sanguinante è stato beffato. Dopo un po’ di questi giochetti il torero tira fuori una spada seminascosta vigliaccamente dietro al drappo rosso e, se il pubblico non chiede la grazia per l’animale, lo infilza nel collo con cinismo. 
Capita a volte che il povero toro pazzo di rabbia e di dolore riesca a prendere a cornate quel vigliacco del torero che viene salvato da un nugolo di altri suoi compari. E io applaudo il toro. Una volta ho visto in tv un toro arrabbiatissimo che si è scagliato contro le transenne invadendo le tribune: quei vigliacchi che prima ridevano adesso cercavano di scappare urlando e pieni di terrore. Non leggo quasi niente di Hemingway che era un appassionato di corride: diceva che era "una forma d’arte sublime", ci scrisse anche un libro, Morte nel pomeriggio. Un tipo così ovviamente ebbe una vita scombinata e turbolenta, alla fine diede segni di squilibrio mentale e di crisi maniaco-depressive com'era naturale che fosse. Vinse il Nobel nel 1954 ma io gli salvo solo "Il vecchio e il mare". I veri “animali”, nel senso dispregiativo del termine, siamo noi.

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