“E il naufragar
m’è dolce in questo mare”. Rubo a Giacomo Leopardi l’ultimo verso de
“L’Infinito” per meglio definire il mio particolare stato d’animo e alcune
considerazioni che adesso mi piace esternare. Da un anno non sto bene, sono
alla fine dei miei giorni, e lo dico con grande serenità. Tutto questo mi ha
indotto ad avvicinarmi a quel mondo invisibile fatto di sensazioni visive e
auditive che nella vita trascuriamo perché troppo presi da una frenetica
quotidianità. Apprezzo il soffio del vento sul viso, il canto dei merli all'alba, il profumo del biancospino, il tepore di una notte serena; osservo con attenzione lo
spuntare delle viole nel mio giardino, guardo il calar del sole come un
miracolo. Vedo cose che prima non vedevo. Come il diventare rosse le foglie
verdi della mia liquidambra, il crescere dei frutti sul mio fico, la nascita
delle olive nere sull’albero che piantai sei anni fa per la mia nipotina.
Ascolto cose che prima non ascoltavo. Come il silenzio dei campi e di una notte
che si riempie di stelle o l’alba di un nuovo giorno. E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Come Giacomo Leopardi,
sfortunato conte marchigiano, di Recanati in provincia di Macerata, morto a 39
anni nel 1837, afflitto fin da piccolo da una tubercolosi ossea alla colonna
vertebrale che lo indusse ad aspettare la fine dei suoi giorni affidando se
stesso alle sensazioni più pure e sconosciute, mirabilmente poi espresse in
un capolavoro di portata mondiale, “L’Infinito”. Le coglieva osservando il
mondo oltre una siepe del suo “ermo colle”, il Monte Tabor (foto sotto a destra): da qui assimilava
“sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Il mio ermo colle è stato il Monte
delle Formiche, un monte di 638 metri a 30 km da San Lazzaro, che sovrasta la
Valle dell’Idice e la Val di Zena, colline, boschi, vallate.
Nei giorni più
limpidi lo sguardo può spaziare dall’Adriatico alle prealpi veronesi. Un monte
misterioso e affascinante: è detto Monte delle Formiche (foto sotto a sinistra) perché fin da tempi
remoti è teatro di un fenomeno inspiegabile e suggestivo: a metà settembre
dalla Baviera arrivano milioni di esemplari maschi di formiche alate, qui si
accoppiano e poi si lasciano morire sapendo che il loro destino è questo. Sul
monte c’è un santuario: al momento opportuno le colonne del santuario e il
piazzale e tutto quanto intorno si riempiono di formiche agonizzanti o morte.
Qui a metà nel
1500, in una grotta, si stabilì l’eremita Barberius vivendo di sensazioni e di
visioni fantastiche. Qui sono stato per l’ultima volta nel settembre di due
anni fa. Qui, fra “questa immensità”, si è annegato “il pensier mio”. E adesso
“il naufragar m’è dolce in questo mare”. Da anni ho appeso in una parete del
mio studio un quadro con la riproduzione de l’Infinito di Leopardi, mi ha sempre toccato
il cuore. Adesso lo rileggo ogni giorno. Mi permetto di consigliarlo a tutti, per non rischiare di scoprire troppo tardi quel mondo invisibile e meraviglioso che ci circonda e che pare non vogliamo vedere.
L’INFINITO
di Giacomo Leopardi
«Sempre caro mi fu
quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.»
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.»
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