Una volta non c‘era il riscaldamento a gas: c’era
la stufa a legna, una meraviglia dell’ingegno dell’uomo: quattro fornelli, due
cassetti destinati alla legna da ardere e alla raccolta della cenere che poi
serviva a conservare i salumi. E non c’era niente di meglio delle stufa per
abbrustolirci sopra le fette di polenta da mangiare con ogni tipo di
condimento, fosse ragù o marmellata o altro.
La stufa bastava a riscaldare una
abitazione non troppo grande, che veniva invasa da una tepore pulito e profumato.
Certo, d’inverno riscaldare una stanza da letto “gelata” non era facile. Ma
anche qui qualcuno si inventò qualcosa di geniale: lo “scaldaletto”. Era
formato da due coppie di assicelle ricurve unite alle estremità e poste sopra e
sotto una specie di gabbia quadrata ricoperta da lamiera destinata ad ospitare
un contenitore con la brace prelevata dalla stufa. Questo attrezzo veniva
sistemato sotto le coperte per togliere umidità alle lenzuola e al materasso.
Il risultato, una mezz’oretta dopo, era un tepore piacevolissimo che consentiva
di addormentarti. Maliziosamente lo scaldaletto veniva chiamato “prete”, e “suora”
il contenitore della brace: si diceva che preti e suore per scaldarsi nelle
lunghe notti d’inverno giacessero assieme a letto, secondo una convinzione abbastanza diffusa.
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