Ci sono cose che ti restano dentro per la vita, che
ti traumatizzano. Mio padre fu condizionato da un trauma subìto da giovane. Era
un uomo semplice, di campagna, umile, generoso, profondamente legato a sentimenti
di giustizia, abituato ad andare in giro prima con i carri attaccati al cavallo
e poi come camionista. Un giorno, verso la fine degli anni 20, si trovò a
dovere andare alla stazione ferroviaria di Bologna a fare non so cosa. Capostazione era un
romagnolo del forlivese, Domenico Lama, padre di Luciano Lama, che – nato nel
1921 - sarebbe poi diventato comunista, sindacalista
e quindi politico di sinistra. Domenico Lama si era iscritto al Partito
Popolare Italiano fondato nel 1921 da Don Sturzo. Il partito dopo il 1926 si
sarebbe sfaldato in tanti rivoli, uno dei quali aderente al fascismo. Ecco,
Domenico Lama era fascista convinto. Mio padre al cospetto di tale personaggio
sbagliò qualcosa, non so cosa, non ricordo cosa mi disse. Forse sbagliò il saluto, forse disse qualcosa che
non era nelle regole, forse non disse “a noi!”. Fatto sta che Domenico Lama si
alzò con fare arrogante e prese a schiaffi mio padre redarguendolo duramente.
Ecco il trauma. Da allora e per sempre, quando vedeva in tv un politico,
diceva: Magnapàn a tradimant!,
mangiapane a tradimento. Oggi si dice la stessa cosa in modi diversi ma la
sostanza è quella. Dopo quella invettiva, mio padre magari ricordava
quell’episodio con voce tremante di pianto. Un pianto di rabbia, per quella
assurda ingiustizia patita. Ricorderò per sempre il suo viso stravolto nel raccontare quel fatto.
mercoledì 23 aprile 2014
sabato 5 aprile 2014
C'ERA UNA VOLTA - Il "rusco"
Oggi l’Italia è invasa dall’immondizia. Non parlo
di quella morale, che dilaga in ogni dove del Paese, ma dei rifiuti che – bisogna
ammetterlo – caratterizzano vergognosamente soprattutto le strade del
meridione. Da Catania a Palermo, da Napoli a Salerno e a Roma, l’inciviltà e
l’arretratezza culturale della gente diviene spettacolo orribile e
indimenticabile agli occhi dei turisti. Una volta a Giardini Naxos, in
provincia di Messina, ho visto una donna che con noncuranza dal marciapiede
davanti a casa sua gettava sulla spiaggia sottostante un sacco di immondizia:
ha notato che la guardavo e con una mano sulla bocca ha nascosto un sorriso di
complicità, era consapevole della sua cialtroneria ma evidentemente questa era
la sua abitudine. Poi ci sarebbe stato tempo per andare a protestare perché
l’amministrazione locale aveva lasciato la città in quello stato di degrado. Fare una discarica? Fatela dove volete, ma non qui da noi!
Nelle parti meno devastate dalla spazzatura, siamo
invasi da una miriade di cassonetti per la raccolta differenziata: vetro,
carta, plastica, umido, ecc. Fuori dalle farmacie ci sono appositi bidoni per
medicinali scaduti. Poi succede che per pigrizia uno sbatte tutto dentro a un
unico contenitore o che il camion destinato alla raccolta carichi tutto insieme. Le statistiche dicono
che solo una piccola parte della nostra popolazione fa la raccolta
differenziata. E che una gran parte getta rifiuti tossici vicino a campi coltivati, incurate dei danni non solo agli altri ma anche a se stessi. Pochi hanno capito che i rifiuti possono essere una risorsa: ripeto fino alla
noia, siamo diventati un paese di cialtroni arretrati. Voglio dire un’altra verità che altri tacciono per non essere
accusati di razzismo: il degrado delle città è dovuto in gran parte
all’immigrazione, interna ed esterna, gente disabituata al convivere civile e
solidale.
Ovviamente i rifiuti sono frutto della
industrializzazione. Una volta, parlo degli anni 50-60, non c’erano in giro
troppe scatole, plastica e confezioni. Ogni negozio era specializzato in
qualche cosa: drogheria, salumeria, latteria e vendeva i prodotti al minuto. Il
latte (freschissimo e saporito) lo andavi a prendere in una latteria dove con
un mestolo si raccoglieva la quantità richiesta da una catinella che veniva poi
sversata in un contenitore portato da casa. Il vino lo compravi sfuso e lo
mettevi sempre nella stessa bottiglia. Difficile che alla fine della giornata
il “rusco” (così si chiamava in Emilia la spazzatura) riempisse un sacchetto di
carta. Ogni due giorni passava il “ruscarolo”: aveva un carretto trascinato da
un cavallo e avvisava la gente del suo arrivo dando fiato a una trombetta.
Qualcuno dice che la parola rusco è l’acronimo di Rifiuti Urbani Solidi
Comunali: l’ha visto scritto sui primi bidoni della spazzatura usati dal Comune
di Bologna. Ma non credo sia così: io “rusco” l’ho sentito dire fin dai primi anni 40 del 900.
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