In redazione, a “Stadio”,
passavano sempre personaggi famosi, non necessariamente dello sport. Non
ricordo perché arrivassero o chi li portasse lì e se fossero davvero
interessati a quello che veniva loro mostrato, dalla redazione alla tipografia.
Forse perché “Stadio” nel suo piccolo era davanti agli altri per tecnologia (fu
il secondo giornale ad adottare l’offset, una nuova tecnica di stampa, dopo il Messaggero Veneto, e il primo a pubblicare foto a colori) e
quindi era interessante da scoprire. Una volta venne Nicola Di Bari, il
cantante. Un’altra volta arrivò Anthony Quinn, il grandissimo Antony Quinn di
Zorba il greco e di tanti altri film. Forse era il 1976. Aveva una sessantina d'anni, messicano di nascita parlava bene l'italiano per aver lavorato molto a Cinecittà. Di lui mi ricordo bene, perché pareva
davvero interessato a quello che vedeva. Faceva domande e questo mi sembrò
essere indice di sincerità. Voleva sapere come nasceva il giornale e come
veniva realizzato, come veniva impaginato. C’è una foto, che mostro come
testimonianza di quel che dico: è davanti a una pagina in via di esecuzione, si
rivolge a me (quello con le mani in tasca di fronte a lui; al centro della foto c'è Adalberto Bortolotti, che era direttore di "Stadio", grandissimo giornalista) per sapere il perché
della disposizione degli articoli e conoscere il seguito del processo di
realizzazione del giornale. Dopo andammo al bar e lui continuò a fare domande.
Un tipo cordiale, aperto, curioso e quindi intelligente. Sono felice di averlo
conosciuto.
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