lunedì 16 dicembre 2013

COSE MIE / Il militare


Avevo 25 anni,  da due anni scrivevo già per giornali, la tesi di laurea era quasi pronta. Non potendo più rimandare la chiamata, dovetti andare militare, nell'Esercito, soldato semplice in artiglieria. 15 mesi dopo ne sarei uscito caporale. Fui anche fortunato: prima di me la "ferma" era di 18 mesi, il mio fu il primo contingente a farne "solo" 15. Mesi letteralmente buttati via. Però pagati: credo 110 lire ogni 10 giorni o al mese, non ricordo. E c'era chi, poveraccio, quei soldi li mandava a casa. C'era chi veniva chiamato in Marina e doveva stare via 24 mesi, abbandonando il lavoro. Venni subito scaraventato a Roma per un errore di chi doveva coordinare i nuovi arrivi. Dopo una settimana passata a fare niente mi mandarono ad Arezzo, tre mesi per l’addestramento di base: marcia tutti allineati e coperti, attenti, riposo, dietrofront; spari a casaccio verso un bersaglio lontano con un fucile modello '91 della prima guerra mondiale, lancio di bombe a mano contro un manichino, “specializzazione”.  Ne uscii con la qualifica di “osservatore” e di "esperto" in missili di non so quale tipo, credo Hawk. Figuriamoci: dopo pochi mesi erano già superati. Per la "libera uscita", la sera, ti controllavano anche il fazzoletto: se non era piegato bene ti rimandavano dentro con sadico cinismo. Poi fui spedito a Verona per un anno, un anno stupidamente sciupato. Essendo capace di battere a macchina e abbastanza colto (li colpì il fatto che scrivessi per un giornale: La Notte. Ah bene, è di destra, disse il Colonnello) mi misero subito in un ufficio come tuttofare di un Maggiore. Battevo a macchina  inutili comunicati, accendevo la stufa d'inverno. Dormivo anche da solo, su un lettino pieghevole in un ufficio dove c’era una cassaforte con i piani per la difesa di Verona. Il fucile sotto il letto. Pensa un po', la difesa di Verona dipendeva da me! Praticamente girovagavo tutto il giorno per la caserma con un foglio in mano facendo finta di essere impegnato, fermandomi alla finestra della cucina dove qualche ragazzo mi allungava una bistecca di quelle buone destinate agli ufficiali e sottoufficiali. So che in Svizzera i militari venivano – con buon senso - chiamati per un mese all’anno per aggiornamenti: da noi un anno di tempo perso. Ho fatto una “guardia” una sola volta, sulla garitta. Ogni tanto c’era una parata. Ricordo una volta, ero in prima fila ma mi ero dimenticato di indossare la bandoliera!!! (Ti raccomando quelli che avrebbero dovuto controllare che tutto fosse in ordine). Con discrezione mi fu sussurrato di spostarmi in seconda fila: fu la manovra più difficile di tutto il periodo militare. Sabato e domenica liberi. Essendo praticamente autonomo, spesso tornavo a casa. Avevo fatto comunella con alcuni ragazzi: un milanese, uno di San Giuliano a Mare, Vitali di Ravenna che aveva la macchina.  Andavamo da una vecchietta che per pochi spicci ci affittava un armadio dove custodivamo i nostri abiti civili, ci mettevamo in borghese e andavamo in giro, a San Zeno, a Peschiera. Poi si aggregò Fanigliulo, un ragazzino pugliese bravissimo a schizzare nudi di donna: me ne regalò 6 che ho appeso al muro della mia sala. Quando venne il giorno del congedo, scrissi il discorso dei militari che lesse un altro. Dissi le cose che sto dicendo, magari con meno crudezza. Nessuno ebbe niente da ridire. Credo che nel vedermi andare via ne fu sollevato un maresciallo che era solito almeno una volta la settimana regalare pesce al Maggiore per ingraziarselo e che io per questo prendevo in giro senza alcun timore reverenziale. Ricordo quel periodo come il più assurdo e inutile di tutta la mia vita.

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