mercoledì 16 ottobre 2013

RIFLESSIONI - I soldi in gioco


Prima della fine della seconda guerra mondiale gli italiani giocavano solo al Lotto, ideato più di 300 anni prima: sulla base di sogni fatti e di altre acrobazie numeriche cercavano di indovinare ciò che una mano anonima estraeva da un vaso. Poi venne il “concorso pronostici” dei risultati del campionato di calcio. L’ideatore fu Massimo Della Pergola, geniale giornalista sportivo nato a Trieste nel 1912. Essendo ebreo, nel 1938 dovette rifugiarsi in Svizzera; si ridusse a fare il mendicante, finì in un campo di lavoro e qui cominciò ad elaborare un’idea: quella di pronosticare i risultati di calcio. Si inventò un sistema semplice quanto efficace: in una partita si doveva indicare con un “1” la vittoria della squadra di casa, con un “2” quella della squadra in trasferta e con una “x” il pareggio. Tornato libero e in Italia alla fine della guerra, nel 1946 fondò la Sisal - Sport Italia, società che gestiva il concorso pronostici. 

La prima schedina - con 12 risultati da indovinare -  apparve il 5 maggio 1946 e fu subito un successo: in un clima di miseria dilagante, erano moltissimi coloro che speravano in un destino migliore indovinando i risultati del campionato. E il successo fu tale che il Coni (e quindi i Monopoli di Stato) nel 1948 divenne titolare della Sisal, chiamò “Totocalcio” il concorso pronostici e con i ricavi finanziò la ripresa sportiva in Italia. La schedina divenne una vera e propria mania, (estesa talvolta anche ad altri sport, come il ciclismo durante il Giro d’Italia) anche per le suggestive pubblicità che la propagandavano: “Migliaia di milionari, milioni di vincitori, miliardi distribuiti”. I risultati da pronosticare diventarono 13: fare "tredici" divenne il sogno di tutti. Per la storia, Massimo Della Pergola non ci guadagnò mai una lira, continuò a scrivere per la “Gazzetta dello Sport”, divenne anche collaboratore di “Stadio” (io lavoravo lì, fu lui a raccontarmi l’origine del Totocalcio). Sul “Guerin Sportivo” Emilio Colombo, celeberrimo giornalista, fin subito aveva giudicato “immorale” e un’autentica truffa ai danni del cittadino quella mania di giocare la schedina. Era un tipo “avanti”.

Il delirio di giocate e di vincite anche consistenti al Totocalcio durò fin verso la metà degli anni 90, quando lo Stato decise di mungere questa insana passione degli italiani facendosi carico di altre analoghe iniziative: il “Gratta e Vinci” è del 1994, il “Superenalotto” del 1997. Il concorso pronostici di calcio, che finanziava il Coni, tentò di replicare inventandosi il Totogol nel 1994, il Totobingo e il Totosei più avanti. Oggi il Totocalcio vive ancora ma praticamente da clandestino e i soldi per lo sport sono sempre meno. I nuovi “giochi” hanno preso il sopravvento dilatandosi in maniera scomposta ed esagerata, grazie alla complicità dello Stato. Recentemente l’agenzia Reuters ha scritto che “l’Italia è il più grande mercato del gioco d’azzardo in Europa”. Nel 2000 gli italiani spendevano 14,3 miliardi l’anno in giochini vari; dopo, con l’avvento incontrollato delle slot-machine, la cifra è cresciuta ogni anno: oggi 30 milioni di italiani buttano circa 120 miliardi fra macchinette mangiasoldi, gratta e vinci, lotto e superenalotto, scommesse varie. Il gioco dà dipendenza, si sa: e oggi i “dipendenti” sono calcolati in circa 700.000. La cosa è dilagata tanto che oggi pare sfuggita di mano allo Stato, che pure l’aveva vergognosamente avvallata: dai vari “giochi” incassa poco più di 10 miliardi di euro.

 

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