sabato 12 ottobre 2013

STORIE IN BICI - Il sacrificio del Re

La sua carriera è durata vent’anni, dal 1931 al 1951. Ha corso contro Girardengo e Coppi, Guerra e Bobet. Non è mai stato un campionissimo eppure per i francesi è una leggenda. Perché René Vietto ha incarnato quelle virtù – generosità e tenacia – che sempre hanno fatto di un corridore “normale” un eroe popolare. Quando il Tour 1997 ha attraversato il piccolo villaggio pirenaico de l’Hospitalet, la carovana ha reso omaggio alla sua memoria. Lì oltre sessant’anni prima un ragazzo appena ventenne aveva sacrificato il proprio sogno di gloria per soccorrere un compagno in difficoltà: per questo  gesto era stato battezzato “le Roi René”, il re René. Dopo, per tutta la sua vita agonistica, avrebbe rincorso quel sogno senza più raggiungerlo.
Il sogno di Vietto era vincere il Tour. “Nessuno più di lui – avrebbe detto Henri Desgrange – indossa la maglia gialla con tanto orgoglio e la perde con tanto autentico dolore”. Sulla lapide della sua tomba, posta sulla sommità del Col de Braus, c’è un epitaffio significativo: “René Vietto, Maillot Jaune de Tour de France”. La vestì complessivamente per 31 giorni, mai riuscì a portarla a Parigi, anche quando pareva ormai inevitabile che ciò accadesse.
Era di origini italiane. I suoi venivano dai monti della Val d’Aosta, si erano stabiliti a Rocheville, sulle Alpi Marittime, e lì nel 1914 nasce René. Appena è in età di lavorare il piccolo René si impiega come fattorino in un hotel di Nizza. Nelle pause, va in bicicletta. Ha la montagna nel cuore, si sente vivo solo quando può respirare il vento che sibila fra il cielo e le cime degli alberi. E’ ovvio che il terreno preferito per le sue esercitazioni siano le rampe vicino casa. E’ piccolo di statura, mingherlino. La timidezza naturale di chi è cresciuto fra i monti lo fa taciturno, a volte scontroso. Più tardi verrà descritto così: “Sguardo accigliato, da aquila. Capelli folti, taglia da ballerino di flamenco. Il suo nome suona come una frustata”.
Renè Vietto sente schioccare il proprio nome per la prima volta a 17 anni, quando è secondo nella scalata della Turbie. E’ poco più che un bambino, ha salito i tornanti con eleganza e determinazione, impressionando pubblico e giornalisti. Sta raccolto in avanti, seduto su un sellino strettissimo, sembra che spinga solo con la punta dei piedi, senza sforzo, senza scomporsi. Il suo modello, dirà, è Binda. E ne spiegherà così lo stile, che è il suo: “In salita gli puoi mettere un bicchiere di latte sulla schiena e lui te lo porta al traguardo ancora pieno”. Gli profetizzano un futuro di gloria quando l’anno dopo, 1932, domina un’altra corsa in salita, la Nizza-Mont Agel. Indossa la maglia de l’Etoile Sportive di Cannes, stacca di prepotenza Lesueur e Vicente Trueba, quello che poi verrà detto “la pulce dei Pirenei”. Vincerà il Gran Premio di Cannes in quello stesso 1932 e poi anche l'anno seguente, quando arriverà anche 13° assieme a Girardengo nella Milano-Sanremo. 

 Sono dettagli necessari, questi, per capire le dimensioni del fenomeno Vietto, un giovanissimo che sta conquistando il cuore della gente. Per queste sue straordinarie qualità di grimpeur esibite con tanta regolarità, nel 1934 viene chiamato a far parte della Nazionale francese impegnata al Tour. Ecco, il Tour 1934 è quello che lo consegna alla leggenda.
La stampa critica il selezionatore dei “blues” per aver incluso in squadra il ventenne di Rocqueville: il Tour è una corsa feroce e drammatica che ha bisogno di gente rotta ad ogni esperienza e non di ragazzini che hanno vinto solo qualche corsa minore in Provenza. La squadra francese conta su personaggi come George Speicher, detto “il re di Monthlery”, che nel 1933 ha vinto il campionato del mondo e il Tour, Antonin Magne detto “Tonin il saggio” già trionfatore del Tour 1931, Roger Lapebie, Charles Pelissier, Maurice Archambaud. E’ la squadra più forte e le critiche alla chiamata di Vietto diventano più accese quando nella prima tappa il ragazzino a causa di una foratura arriva al traguardo dopo 10’. Alla seconda, Antonin Magne è già maglia gialla mentre il giovane René continua ad accumulare ritardi. Ai piedi delle Alpi è 42° in classifica a più di un’ora di distacco da Magne. La sua faccia accigliata non tradisce sentimenti, non rabbia per le critiche, né delusione per la sua prova o speranze di rivalsa. Il profilarsi all’orizzonte delle grandi montagne gli allarga il cuore. Con Tonin il saggio ben saldo nella posizione di leader, alla settima tappa René ha facoltà di esibire il proprio talento. Aix-les-Bains-Grenoble, 229 km col Galibier: conquista le cime in solitario e dopo quasi nove ore arriva alla meta con oltre 3’ su Martano, Magne e altri due. Trueba, la pulce, è a 4’ e  i grandi a 12’. Si sprecano i complimenti per il ragazzino: con i suoi 7.448 giorni di vita risulta essere il quarto più giovane vincitore di tappa della storia del Tour. Nona tappa, Gap-Digne, 227 km, un continuo saliscendi con l’Allos a far paura. L’intrepido René non chiede licenze questa volta e va, esaltato dall’aria dei monti: ancora primo, con Molinar e Trueba a due e mezzo, i big a 6’ e mezzo. La folla impazzisce per quel piccolo montanaro taciturno e delira anche la critica quando due giorni dopo nella Nizza-Cannes, sui suoi monti, fra la sua gente,  s’invola con Martano e lo batte lasciando Magne e Trueba a 3’30”, Lapebie a 6’, gli altri a 10’. La gente abbatte le transenne, invade la strada, si porta René sulle spalle. Desgrange, il patron del Tour, che con la polizia vuole mettere un freno a tanto pericolosa eccitazione, si prende un pugno in faccia. Vietto adesso è 4° in classifica: un fenomeno, una rivelazione, si scrive che la Francia ha trovato il grande grimpeur che mancava dai tempi di Bottecchia.

 Adesso, sui Pirenei, gli appassionati si aspettano la conquista della maglia gialla da parte del ragazzo che ha osato sfidare i campioni. La Perpignano-Aix-les-Thermes di 158 km, quindicesima tappa, si corre il 14 luglio, festa nazionale. Le strade di montagna sono affollate di curiosi e percorse da straordinaria eccitazione. Ecco le rampe del Col de Puymorens, che si fermano a quota 1.915, ecco Vietto che scatta e scollina assieme alla maglia gialla e altri pochi avventurosi. Dopo poco, nei pressi del villaggio de l’Hospitalet, avviene il fatto storico. Antonin Magne cade rovinosamente a terra, la ruota anteriore della sua macchina è distrutta, il suo sguardo è un lago di disperazione. Urla a Vietto di passargli la sua bicicletta. Potrebbe proseguire, il ragazzo. Far finta di non aver sentito e volare verso la gloria. Il Tour è sempre stato terreno di imboscate, corsa da coltello fra i denti adatta a pirati della bici. E invece Vietto mette piede a terra. Passa la ruota alla maglia gialla e aspetta 5’ l’arrivo dei suoi meccanici. La radiocronaca di Tristan Bernard racconta alla Francia quel gesto di altruismo. 

 Il giorno dopo i giornali non fanno in tempo ad esaltare l’eccezionale generosità del piccolo eroe che questi si rende protagonista di un altro episodio da favola. C’è la Aix-les-Thermes-Luchon di 165 km, altre montagne da scalare, altra impresa di Vietto che sul Col de Portet d’Aspet comanda un gruppetto di inseguitori nella rincorsa a un paio di fuggitivi, Antonin Magne è più indietro staccato di un minuto. Appena inizia la discesa la maglia gialla è vittima di un incidente alla catena, cade, fracassa un’altra ruota. Vietto è lontano, alcuni chilometri più avanti. Mentre si dà daffare per rimediare al guasto, Magne se lo vede comparire davanti come in un miracolo. Il ragazzo è stato raggiunto da un motociclista che l’ha avvisato dei problemi del suo compagno, si è fermato e incredibilmente ha risalito la strada all’inverso. Prendi la mia bicicletta, Tonin, sussurra. Magne riprende la sua corsa e aiutato da Lapebie alla fine conterrà il ritardo in una manciata di secondi. Vietto invece è rimasto lì da solo, ad aspettare i soccorsi: allora le poche macchine del seguito sulle salite perdevano i corridori, si fermavano a far respirare i motori fumanti. C’è una foto che legittima la leggenda di Vietto: il piccolo scalatore è seduto su un muricciolo ai bordi della strada sterrata, il capo chino appoggiato a un ginocchio. Piange. E pensa al suo sogno che se ne sta volando via. Passano ben 15’ prima che qualcuno gli porti soccorso. Ancora una volta la voce del radiocronista informerà la nazione intera di quel gesto eroico. Così da quel momento in poi Vietto sarà “le roi René”: il re della generosità, il re dello spirito di squadra. Quel Tour 1934 passerà alla storia come “il sacrificio di Vietto”, non come la seconda vittoria di Magne. E anni dopo un periodico cattolico, “La Vie Chrétienne” ricorderà il gesto di Vietto come esempio di carità cristiana. 
 Non finisce sul Col de Portet l’avventura di René in quel 1934. Due giorni dopo, nell’ultima tappa pirenaica, la Tarbes-Pau di 172 km, col Tourmalet e l’Aspin, inscena l’impresa della vita: fuga rabbiosa, tutti staccati, arrivo solitario con 3’ su Lapebie e Martano, 6’ su Sylvére Maes. Sarà 5° in classifica, alla fine di quel Tour, ma almeno potrà indossare da trionfatore la maglia di Re della Montagna, titolo assegnato ufficialmente per la prima volta.
Non rinuncerà al suo sogno, Vietto. Anzi. Lo rincorrerà con tenacia per anni, senza mai raggiungerlo, solo sfiorandolo dopo aver annunciato con donchisciottesca convinzione che avrebbe vinto. Non è un campionissimo il Re Renè, è prigioniero del suo sogno: le sue capacità sono limitate alle montagne, in pianura fatica a tenere il passo e a cronometro va decisamente male, sicchè alla fine quando si sommano i tempi risulta sempre in debito. In più, a ogni Tour ha la sua giornata negativa: una costante che gli avversari imparano a conoscere e aspettano. Sfiora l’impresa nel 1939: tiene la maglia gialla per ben 16 giorni, passa indenne sui Pirenei ma sulle Alpi, sull’Izoard, nella Digne-Briançon, colto da crisi di freddo, perde 17 minuti fatali. Sarà secondo a fine corsa, a mezz’ora dal vincitore Sylvére Maes.
 La guerra interrompe il ciclo del Tour. Quando riprende, nel 1947, René Vietto con i suoi 33 anni è ancora lì a sognare e a dire di vincerlo. Ha al fianco il giovane Louison Bobet, i vecchi Fachleitner e Lucien Teisseire. Vietto viene dato favorito da 7 giornali, fra cui L’Equipe. E’ il Tour che fa grande il nostro Ronconi (maglia gialla per due giorni), che mette in luce l’italo-francese Brambilla, che rivela “testa di vetro” Robic, regionale dell’Ovest. Vietto tiene la maglia gialla per 15 giorni, vince due tappe, la seconda è la Briançon–Digne con l’Izoard, il Vars, l’Allos: si prende la rivincita di otto anni prima ma vivrà il suo giorno di crisi ventiquattrore dopo, sulle sue montagne, il col de Braus dove nel 1988 vorrà essere sepolto e la Turbie. Poi a due giorni dalla conclusione, quando nonostante tutto ha ancora la maglia gialla sulle spalle, una crono di 139 km, la più lunga di tutta la storia del Tour, gli frantumerà ogni speranza. Vincerà a sorpresa Robic, proprio nell’ultima tappa e Vietto sarà quinto.
Vietto è al via del Tour anche nel 1948, a rincorrere Bartali, e nel 1949 e rincorrere Coppi. Adesso è un vecchio atleta, un po’ meno taciturno ma sempre scontroso. Se segue il corso dei suoi pensieri, se non vince però è lo stesso. Intorno a lui c’è sempre simpatia e affetto, perché René è un uomo che sulla bici trascina sempre, assieme ai suoi pensieri, quel suo gesto del 1934. Alla Sanremo del 1951 è uno dei tanti del gruppo: vince un nuovo idolo francese, Louison Bobet, e lui è in fondo, 75°. Scende dalla bici stancamente con lo sguardo fosco. Il suo sogno di vedersi in giallo a Parigi ormai sta lì, adagiato sul fondo del cuore, un ricordo appassito.

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