giovedì 17 ottobre 2013

AMARCORD - Da Cesari con gli arbitri


Nei vicoli del centro storico di Bologna esistono diverse osterie antichissime e cariche di suggestioni. La più vecchia è l’Osteria del Sole, che risale al 1465. Famosissima è l’Osteria de’ Poeti, aperta nel 1600 nelle cantine del Palazzo Senatorio (costruito nel 1400) e cosiddetta perché frequentata da Pascoli e Carducci. Poi c’è l’osteria Da Cesàri. La domenica sera, dopo la “chiusura” del giornale alle 23, noi giornalisti partivamo per una avventura irrinunciabile: andare da Cesàri. Esiste dai primi del 900 e nel 1955 era diventata di proprietà di Ilario, un omone gioviale e allegro. A destra c’era un bancone lunghissimo e scaffali pieni di bottiglie di vino. A sinistra i tavolini per sedersi a mangiare tortellini, tortelloni, tagliatelle accompagnati da un micidiale Sangiovese fatto dal titolare. Entravi e venivi subito travolto dal fitto chiacchiericcio dei commensali e dall’odore acre di vino. Allora lavoravo a “Stadio”, quotidiano sportivo bolognese. Ad andare da Cesàri eravamo soprattutto noi giornalisti del calcio, poi tanti appassionati di sport, fra cui Lucio Dalla. E per un preciso motivo. Lì arrivavano puntualmente gli arbitri che tornavano a casa dopo aver diretto le rispettive partite: arbitri della città o che dal nord scendevano verso il sud. Ricordo il nostro Reggiani, e Monti di Ancona. Anche per loro quella tappa era diventata obbligatoria. Fra una cucchiaiata e l’altra di tortellini ci si scambiava opinioni su quanto accaduto in campionato, le confidenze restavano tali e nessuno si sognava di usarle per articoli del giorno dopo. Verso mezzanotte arrivava un usciere del giornale che portava alcune decine di copie di “Stadio”. “Stadio” intanto era già in viaggio verso il sud su un treno divenuto leggenda: il famoso LB delle 23 e 35. Famoso perché l’orario di partenza da Bologna era fissato non dalle Ferrovie dello Stato ma dall’uscita di “Stadio”: non si metteva in moto se non erano state caricate le copie del giornale destinate al sud. Il tutto, ovviamente, con la complicità dei capotreni che poi per Natale ricevevano un orologio in cambio della loro elasticità.
Da Cesàri, con le copie del giornale in mano, giornalisti e arbitri si facevano improvvisamente silenziosi, tutti a sfogliare le pagine. E dopo di nuovo a commentarle assieme, soprattutto le “pagelle” delle partite: se era presente un arbitro che magari si era beccato un 4, allora ci si metteva a discutere, lui si difendeva spiegando quelli che parevano suoi errori e noi ad ascoltarlo e magari ad assolverlo. Era un bel modo di vivere il giornalismo. Per la cronaca, adesso da Cesàri comanda Paolino, figlio di Ilario: Paolino per modo di dire, è grosso come il padre.

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