giovedì 10 ottobre 2013

STORIE IN BICI - Il Signor Millimetro


Un giorno, tornando a casa in aereo dopo aver corso la Settimana Sarda, chiese d’improvviso a un giornalista seduto accanto a lui: “Hai paura di volare?”. Si era negli Anni 50, l’uso dei velivoli come mezzo di trasferimento non era diffuso come oggi ed erano molti quelli che tremavano al solo salire la scaletta. No, rispose l’amico, e tu? Stan Ockers prese tempo. Si fece serio e lentamente disse: “No, non ho paura di niente. Sono un fatalista: quando uno deve morire, muore anche se non cade l’aereo”. Un anno dopo, primavera 1955, Jacques Lecoq chiese un pronostico secco a tre campioni belgi, Van Steenbergen, Impanis e Ockers, su chi avrebbe vinto le prossime Freccia Vallona e Liegi-Bastogne-Liegi. Ockers anticipò i due compagni dicendo con decisione: “Io, vinco io per forza:non ho più tanto tempo davanti a me”. Arrivò primo in entrambe le corse, infatti. E quel 1955 fu trionfale per lui: conquistò anche la classifica a punti del Tour, il mondiale su strada e il trofeo Desgrange-Colombo. Non si era mai visto un Ockers così, pareva invasato, quasi preoccupato di arraffare tutto ciò che era possibile perché poi non ci sarebbe più stata l’occasione. Aveva 35 anni compiuti e riteneva di non aver più tanto tempo davanti a sé: non per via dell’età, bensì perché avvertiva per vie misteriose l’avvicinarsi della sua ora.
La tragedia avvenne il 29 settembre di un anno dopo. C’era uno riunione in pista, al Palasport di Anversa. Correva in coppia con Sterckx e si toccò col suo compagno. Un ruzzolone sul parquet, la testa che batte contro il pedale della bici dell’altro proprio in un punto non protetto, fra uno spicchio e l’altro del casco. Allora non c’era il casco integrale, fu una inquietante fatalità. D’urgenza venne portato a Merksem, all’ospedale Saint-Bartholomé. Aveva il cranio fratturato, perse conoscenza e due giorni dopo, l’1 ottobre, morì a soli 36 anni. Al funerale accorse tutta Anversa, c’erano centomila persone e il Re, che alla memoria gli conferì il cavalierato dell’Ordine di Leopoldo II. A ricordarlo, nel 1957 sarebbe stato scoperto un monumento sulla vetta del Col de Forges, dove lui quattro anni prima aveva preso il volo per andare a vincere la Freccia Vallona. Un busto di bronzo lo ricorda anche nella sala d’onore del Palazzo dello Sport di Anversa.

Stan Ockers era stato l’idolo di Eddy Merckx come di tanti altri ragazzini belgi. All’apparenza fragile e minuto (era alto un metro e sessanta), pareva fatto d’acciaio. Per questo l’avevano chiamato il Robic del Belgio. Poi era anche stato battezzato Stan l’astuto e Monsieur Millimètre. Astuto, perché in corsa aveva un’intelligenza fuori del comune, un innato senso della strategia. Signor Millimetro perché non sprecava niente in energia e in strada percorsa. Correva cogliendo il filo del vento, tagliando le curve secondo scienza e all’occorrenza si mostrava, scriverà Bruno Roghi, “un fastidioso succhiatore di ruote secondo la scuola della più rigida ragioneria del ciclismo”. Correva ai tempi di Bartali e Coppi, Bobet e Gaul, Van Steenbergen e Kubler, Koblet e Geminiani. Lui non era un superman: non eccelleva in alcuna specialità, né in volata né in salita e sul passo era solo regolare. Però sopperiva a queste carenze tecniche e fisiche con una volontà e una tenacia feroci, tali che lo fecero diventare il modello dei ragazzini. Con queste armi riuscì a tener testa ai campioni del suo tempo, fu due volte secondo al Tour, una dietro Kubler nel 1950 e una dietro Coppi nel 1952, corse in complesso 8 Tour de France portandoli tutti a termine.
Anche quella volta nel 1948, quando nella Tolosa-Montpellier arrivò 85° su 85. Stava male e il suo direttore sportivo gli urlava: “Stai male, Stan, sei ultimo, ritirati, non c’é più niente da fare!”. Lui, la testa piegata sul manubrio, soffriva in silenzio, stringeva i denti, piangeva di rabbia e in queste condizioni arrivò al traguardo. Goddet di getto, e convinto che non lo avrebbe rivisto alla partenza del giorno dopo, scrisse un articolo di elogio sull’Equipe per il piccolo e tenace corridore belga: “Stan Ockers é stato oggi un esempio per tutti, ora può tornare ad Anversa felice per il dovere compiuto”. E invece il giorno dopo, eccolo lì, non in gran forma ma deciso a vendere cara la pelle. A Marsiglia arrivò quarto, poi secondo dietro a Bartali ad Aix-les-Bains e ancora secondo a Mulhouse, quinto a Strasburgo, secondo a Metz, quarto a Liegi, terzo a Roubaix, quinto a Parigi. Finì per vincere la classifica a punti, come sarebbe accaduto ancora otto anni dopo, nel 1956.

Nato nei pressi di Anversa nel febbraio del 1920, gli era stato dato un nome profetico: Costante, come Girardengo. Per tutti sarebbe poi divenuto “Stan”. Aveva cominciato a correre nel 1937, nel 1941 era passato professionista e subito si era fatto apprezzare per la caparbietà e la forza interiore oltre che per la correttezza e l’onestà.
Rimase ferito a morte il giorno del 1950 che qualcuno lo accusò tanto velatamente quanto paradossalmente di aver venduto il Tour a Kubler. Kubler si era trovato la maglia gialla sulle spalle il giorno che Bartali, insultato e picchiato dai baschi sul Col d’Aspin, dopo aver trionfato sul traguardo di St.Gaudens decise di tornare a casa con tutta la squadra al seguito. Quel giorno Magni era diventato maglia gialla e ripiegò nella valigia il prezioso indumento con grande amarezza. Così il campione svizzero si trovò leader, ma praticamente da solo (Koblet gli era nemico) ad affrontare gli assalti dei francesi, di Bobet in particolare. E’ vero che Kubler cercò accordi e aiuti in ogni modo, però l’onesto Ockers si conquistò il secondo posto con la forza delle gambe e l’intelligenza: figurarsi se, avendo la possibilità di vincere, avrebbe ceduto il trionfo a quello svizzero! Aveva 30 anni e il massimo dei successi colti fino ad allora era stato il Giro del Belgio del 1948. Nella Perpignano-Nimes Kubler e Ockers costruirono i loro piazzamenti finali affibbiando una decina di minuti a Bobet e Geminiani. Quella tappa passò alla storia più che per la debacle dei francesi, per un episodio grottesco accaduto ad Abed-ek-Kader Zaaf, un pittoresco algerino debuttante al Tour: a un certo punto si fermò, si sdraiò sull’erba delirando. Soccorso, si sollevò; inforcò di nuovo la bicicletta e riprese la strada: in direzione inversa. Fu portato all’ambulanza e risultò essere ubriaco fradicio.
Ockers era allora a 1’06 dallo svizzero, nelle tappe successive perse altre manciate di secodi e nella St.Etienne-Lione, una terrificante crono di 98 chilometri, arrivò a 5’34” da Kubler. Finì quel Tour, il buon Stan, a 9’30” dallo svizzero e nulla di più avrebbe potuto fare. Altro che vendere la vittoria! Per la cronaca, Bobet fu terzo a 22’19”. Nel Tour del 1950 Ockers aveva anche vinto una tappa, la quarta, Lilla Rouen e nel complesso della corsa aveva evidenziato al massimo le doti che lo avevano imposto all’attenzione e che più avanti gli avrebbero consentito di cogliere successi di prestigio.

Sì, perché paradossalmente Stan Ockers diede il meglio di se stesso dai 33 anni in poi. Nel 1953 vinse alla grande la sua prima Freccia Vallona e fu terzo al Mondiale di Lugano che vide Coppi vestire la maglia iridata. Nel 1954 al Tour dominò la Bayonne-Pau. Nel 1955 esplose: a 35 anni fu il miglior corridore della stagione, conquistando due classiche belge, la classifica a punti del Tour, il trofeo Edmond Gentil, e dulcis in fundo il Mondiale di Frascati, il suo capolavoro.
Si correva il 28 agosto in un’afa micidiale, 293 chilometri di saliscendi lungo i colli romani suddivisi in 14 giri, una folla immensa calcolata in 250 mila persone a godersi lo spettacolo, famiglie intere che bivaccavano sui prati, pronte ad esaltarsi per i corridori. Aspettavano Coppi e Magni, applaudirono i tentativi del romanino Monti, di Nencini e Fornara e alla fine dovettero convenire che il vincitore a sorpresa, il belga Stan Ockers, aveva ampiamente meritato il sccesso. Ockers quel giorno fece la corsa della vita.
Al sesto giro era scappato Fornara che era poi stato raggiunto da Anquetil, Darrigade, Rolland, Derijcke, Poblet, Nencini e Coletto. Il vecchio Stan era rimasto nel gruppo dei big, Coppi, Bobet, Magni, Brankart, impegnati a controllarsi l’un l’altro. Quando vide che il distacco era salito a circa 10’, colse l’occasione di uno scatto di Monti e Molineris per accodarsi a loro e mettersi in caccia dei fuggiaschi. Non succhiò le ruote quella volta, fece la sua parte. Raggiunsero i primi e dopo il belga restò sempre all’avanguardia. Coppi e Magni e Bobet si erano ritirati tra i fischi della gente. A due giri dalla fine in testa erano in nove: 3 belgi (Ockers, Janssens, Derijcke), 2 italiani (Nencini e Coletto), 3 francesi (Anquetil, Geminiani, Rolland) e 1 lussemburghese (Schmitz). Stan giocò la sua carta, scattò ma Nencini andò a riprenderlo. Sull’ultima salita scattò ancora e nessuno gli resistette, fece gli ultimi chilometri ai 37 di media, era scatenato davanti alla prospettiva di realizzare un sogno. Ai trecento metri dalla folla sbucò in bicicletta il suo direttore sportivo che lo accompagnò fino al traguardo. Come in trance vestì la maglia iridata, abbracciò la moglie e il figlioletto Eddy che aveva fatto venire a Roma perché sentiva di potergli fare un grande regalo. Alla televisione disse: “Ho 35 anni, vincevo oggi o mai più...”. 

Era entrato nella leggenda e con tutti gli onori qualche giorno dopo fu ricevuto a Palazzo Reale da Baldovino. Erano amici di lunga data, i due. Emozionato, vestito a festa, Ockers promise al suo re di regalargli la bici mondiale. E intanto pensava al futuro, che avvertiva ormai in scadenza. Avrebbe ampliato e abbellito la sua birreria ad Anversa per garantire un domani sicuro al suo Eddy. Poteva ritirarsi in gloria, Bartali l’aveva fatto proprio all’inizio di quell’anno. E invece continuò il suo mestiere, sempre per dare maggior sicurezza economica alla sua famiglia: la maglia iridata addosso gli aveva procurato una infinità di contratti.
Nel 1956 vinse una tappa e la classifica a punti del Tour, la Roma-Napoli-Roma dietro motori. Corse molto in pista e a fine stagione una riunione nel palasport della sua città gli fu fatale. “Muori anche se non cade l’aereo”, aveva detto. Chissà se aveva pensato di finire in quel modo...



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