giovedì 3 ottobre 2013

STORIE IN BICI - Fonso la Mort

La favola del Giro 1914 è un romanzone d’appendice infarcito di suspence. Era l’ultimo Giro prima della Grande Guerra, le varie Case miravano a mettersi in luce – con tutti i mezzi, senza esclusione di colpi – per poter aspirare all’appalto del governo per la produzione di bici da guerra: sarebbe stata una commessa di vitale importanza. Atala, Bianchi, Globo, Maino avevano ingaggiato uomini di prim’ordine. In campo c’erano il giovanissimo Girardengo e “l’invulnerabile” Petit Breton vincitore di due Tour de France, Oriani trionfatore del Giro 1913 e i leggendari Ganna e Gerbi. Poi c’era la Stucchi (la stessa famiglia che oggi a Badia di Coltibuono fa vino di fama mondiale), intenzionata a fare da terzo incomodo con il bolognese Fonso Calzolari detto “Fonso la mort” perché la sua resistenza non aveva confini. Fu un Giro memorabile per ciò che successe in corsa e per certe caratteristiche irripetibili. Partirono in 81 e alla fine si contarono solo 8 superstiti. Per la prima volta si correva con classifica a tempi e non più a punti. Una lunghezza media di 396 km per tappa, la tappa più lunga era la Lucca-Roma di 430 km, nella Bari-L’Aquila il vincitore stette in sella 19 ore e mezza. Tutti record mai più ripetuti nella storia del Giro. E i 3.162 km del percorso furono attraversati quasi sempre sotto la pioggia che trasformava in fanghiglia le strade sterrate. Fu micidiale e decisiva la prima tappa: si ritirarono in 37. All’inizio il gruppo fu falcidiato dai chiodi disseminati di notte sulla strada da coloro che osteggiavano le corse ciclistiche e motociclistiche: le volevano sabotare perché dicevano che erano un pericolo per pedoni e animali. Poi ci fu la scalata al Sestriere, sotto la bufera di neve, a dare il colpo di grazia alle speranze di molti.

Fonso Calzolari fu tra quelli che resistettero alla tentazione di arrendersi e nella seconda tappa, la Cuneo-Lucca di 340 km si impose conquistando il primato in classifica con oltre un’ora di vantaggio su Girardengo. Cominciò a pensare a ciò che alla vigilia gli aveva detto una famosa “santona” di Bologna, la leggendaria “Sampira”: “Vincerai il Giro ma dopo tante sofferenze e tanti rischi….”. Sarebbe stato così. Le grandi Case non intendevano lasciare quella prestigiosa vittoria a un corridore considerato di secondo livello e a una marca – la Succhi – non di primo piano. E Calzolari dovette combattere contro gli avversari ma soprattutto contro chi voleva sabotarlo. Un giorno sbagliò strada per una indicazione falsata, salì una collina a piedi con la bicicletta in spalla per ritrovare il sentiero giusto e quando risalì in sella si ritrovò con una gomma misteriosamente bucata. Un’altra volta un’ automobile tentò di farlo andare fuori strada, ricevette poi una lettera anonima che lo diffidava dall’insistere a voler vincere il Giro e la visita di un losco figuro che gli chiedeva quanti soldi volesse per perdere la corsa. Fu anche penalizzato di tre ore in classifica, con la falsa accusa di essersi aggrappato ad una vettura del seguito ma poi gli fu resa giustizia.

 Il suo acerrimo nemico, Azzini della Bianchi, lo agguantò in cima alla classifica, lo superò di soli 6” ma poi dovette arrendersi alla costanza di Fonso. Anche perché nella terz’ultima tappa Azzini scomparve. Letteralmente. Tutti a cercarlo lungo il percorso, di notte. Lo trovarono la mattina dopo stroncato dalla fatica e da misteriosi additivi, stralunato. E intanto si dipanavano episodi che avrebbero contribuito alla leggenda del ciclismo eroico. La fuga solitaria di 350 km di LauroBordin, poi diventato fotografo di grande spessore: era scappato nella notte saltando un passaggio a livello chiuso, era andato avanti per dieci ore sospinto da non si sa quale sogno, quando fu raggiunto confidò ai suoi inseguitori il suo sollievo per non essere più solo. E l’avventura di Gerbi alla dogana, in Puglia: fu fermato da un daziere troppo solerte, voleva vedere se nelle sue sacche c’era qualcosa da tassare, gli voleva sequestrare una bottiglie di Barbera. E Gerbi lo prese a pugni. E il furto di salami ad opera del gruppo intero, la notte della partenza di una tappa, al ritrovo in un’osteria: in molti aveva adocchiato una fila di prosciutti e salami appesi alle travi del soffitto, nella confusione ne avevano fatto incetta, e tutti, organizzatori, giornalisti e corridori, avevano poi preso la partenza come indemoniati inseguiti dalle grida dell’ostessa inviperita.

Al Velodromo Sempione di Milano venne tributato il giusto trionfo a Calzolari e alla Stucchi. Fonso fu portato in giro per Bologna da una folla impazzita di felicità nonostante in quei giorni la città fosse afflitta da disordini e scioperi dovuti al malcontento della gente per la vita sempre più cara. Poi venne la guerra. E Fonso perse i cinque anni più belli della sua vita. Passò il resto della sua esistenza a chiedersi che cosa avrebbe mai potuto fare senza quella drammatica interruzione. Morì a 96 anni, in una casa di riposo della Liguria. Lì ancora oggi ricordano i suoi racconti di “eroe” della bicicletta, la sua favola di un Giro dominato a dispetto di tutti.





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