Amo tutta la musica, fuorchè il jazz freddo e la
musica da camera. Ogni altra armonia mi rilassa, mi scalda il cuore. Compresi la musica country e gli jodel. In casa ho chitarra e tastiera, che suonavo (male) da autodidatta. La musica che
mi suggestiona maggiormente è il tango, che è stato definito “un pensiero triste che si balla”. I
passi di danza inducono sensualità e seduzione, eleganza e passionalità. Tutto il corpo è impegnato ad esprimere queste sensazioni: dalle gambe alle braccia, dalla testa al tronco. Le
note sono struggenti, intense e penetranti, fanno vibrare il corpo: si balla senza sorriso e con profonda spiritualità. Uomo e donna si immergono nel loro sogno, occhi negli occhi, il cuore che batte forte. Il tango, oltre che musica, è un momento magico dell'anima. E volendo, è anche curativo. Il responsabile della Prevenzione Antisclerosi del Centro Cardiologico Monzino di Milano ha detto: "Oltre a favorire la socializzazione, a ridurre lo stress e a dare una carica emozionale positiva, migliora la forza, il coordinamento e la stabilità del corpo, aumenta la velocità dei movimenti e può agire a favore del cuore". Le sue origini
risalgono alla fine dell’800 e vengono collocate sul Rio de la Plata, fra
Argentina e Uruguay. Oggi si assiste ad un fenomeno sociale: dovunque nel mondo,
da inizio millennio, sono sorte centinaia di scuole di tango. Che dicono siano luoghi di svago
e di evasione ma anche di crescita personale: specie fra i giovani trentenni. E’ una
specie di rinascita, che scaturisce forse dal rigetto di quella accozzaglia di note
sparate contro il limite dei decibel e nel cervello dei ragazzi, definita anche
musica “moderna”. Quella musica non si balla e non si ascolta: ti agiti come un
automa rincretinito e basta. Il tango, se vuoi capirlo, ti entra sottopelle e
ti regala vita. La Cumparsita, A media luz, Caminito, Jalousie, Adios pampa
mia, El Choclo, Adios muchachos ne sono la dimostrazione più eclatante. Provate ad ascoltare
questi brani ad occhi chiusi e magari imparate a ballarli. Vi sentirete
diversi.
martedì 29 ottobre 2013
domenica 27 ottobre 2013
RIFLESSIONI - E vissero felici e contenti
Parere personalissimo: Halloween è la festa più insulsa che si potesse inventare, non ne capisco il senso. L’hanno riesumata
gli americani (i soliti americani!) andandola a pescare dalla cultura celtica e storpiandone il
senso. Ne è simbolo una zucca tenebrosa intagliata in modo da sembrare un
teschio. Si dice: Felice Halloween!!!
Felice? Se vedi qualcosa che impaurisce sei felice? All’inizio era una cosa per
bambini, e questo è già deplorevole. Poi è dilagata nel mondo dei grandi mai
cresciuti, che nell’occasione si travestono da fantasmi ghignanti, morti
viventi rimbambiti, streghe col bitorzolo sul naso, vampiri sanguinolenti. Un
divertimento che non ti dico!
Rifletto e rilevo che da che mondo è mondo le
favole sono sempre state dispensatrici di angosce. Gli esperti dicono che
servono ai bambini a sconfiggere le loro paure. Sarà, ma non ci credo. Hansel e
Gretel dei fratelli Grimm, è la favola forse più celebre. Sono due bambini lasciati dal padre in mezzo a un bosco tenebroso: oggi si chiama abbandono di minore. Cammina cammina e cammina arrivano a
una casetta. La proprietaria è una vecchia strega abituata a mangiare i
bambini. Finisce che Gretel spinge la vecchiaccia nel fuoco del camino e la
brucia viva. E vissero tutti felici e contenti. E’ più o meno quello che capita
a Pollicino. E’ il più piccolo di sette fratelli abbandonati (dove?) nel bosco
dai genitori che non sanno come mantenerli (ma non potevano farne meno?). Anche
quei sette bambini camminano e camminano nel bosco tenebroso finchè arrivano davanti a un
palazzo: lì abita un Orco che quando ha voglia di carne fresca mangia bambini.
Pollicino, che ne sa una più del diavolo, scopre che l’Orco ha sette figlie,
tutte con una piccola corona in testa. Frega le corone e le mette in testa ai
suoi fratelli. Così l’Orco, preso dai morsi della fame, quando in piena notte
si avvicina ai lettini per sgozzare le sue prede taglia la gola alle sue
figlie. E' omicidio plurimo. Pollicino, che intanto si era segnato la strada con briciole di pane,
scappa con i suoi fratelli. Ma l’Orco li insegue con i suoi stivaloni delle
sette leghe. Nel momento in cui si ferma a dormire, Pollicino gli sfila gli
stivali e corre dalla moglie del mostro e le dice che suo marito è stato rapito
e che bisogna pagare un riscatto. Quella deficiente dell’orchessa gli consegna
tutto l’oro che ha e Pollicino torna a casa sua e regala l’oro ai genitori che
lo avevano abbandonato assieme ai suoi fratelli. Da quel momento naturalmente
vissero tutti felici e contenti. Meno truce è la storia di Cappuccetto Rosso e della
sua mamma che – incosciente – la manda da sola a casa della nonna in mezzo al
solito bosco raccomandandole di stare attenta al lupo cattivo; la piccolina incontra il lupo malvagio il quale corre dalla
nonna, se la mangia e aspetta la futura vittima. Fortuna che arriva un
cacciatore che ammazza il lupo cattivo. Poi lo squarta e dalla pancia tira fuori
la nonna ancora viva.
Poi ci sono altre storie, meno truculente. Biancaneve si
becca una mela avvelenata da una stregaccia, un’altra vecchia malvagia vuol far
fuori la Bella Addormentata. Nel bosco, naturalmente. Meno male che poi tutti vivono
felici e contenti. A Pinocchio va un po’ meno peggio: Mangiafuoco lo tiene solo
in gabbia ma non se lo vuole mangiare; il padre di Pinocchio invece viene
divorato da una balena ma poi anche lui se la cava. Anche stavolta finiscono
tutti felici e contenti.
I genitori che raccontano queste favole dicono:
Stanno così attenti, non fiatano… Per
forza, hanno addosso una fifa blu! Per carità, non contesto il parere di
autorevoli esperti che dicono che queste favole fanno un gran bene ai bambini.
Esprimo solo qualche dubbio in proposito. Chissà se i figli degli esperti non hanno
paura del buio o vanno di notte in un bosco col sorriso sulle labbra. E soprattutto:
chissà se questi esperti che analizzano le favole “istruttive” hanno mai
chiesto ai bambini che cosa ne pensano di queste storie orribili o se non preferiscano
vedere un bel cartone di Tom e Jerry.
RIFLESSIONI - L'ossessione del sesso
Non so se sia sempre stato così ma è certo che
adesso viviamo in un mondo ossessionato dal sesso. A cominciare da chi ci deve
governare. Nel 1998 Bill Clinton aveva la stagista sotto il tavolo. Nel 2007 il
senatore americano Larry Craig fu arrestato per aver tentato di fare sesso in
un bagno pubblico con un poliziotto in borghese. Nel 2011 il francese
Strauss-Kahn, presidente del Fmi, fu arrestato a New York con l’accusa di
tentato stupro di una cameriera. Per il nostro Berlusconi nel 2010 è stato
ripescato dalla cultura indigena indonesiana il termine “bunga bunga” in
riferimento a presunti festini casalinghi. Nell’ottobre 2013 in Gran Bretagna è
stato arrestato il vicepresidente della Camera dei Comuni per abusi sessuali su
due ragazzi. La lista sarebbe lunga ma mi fermo qui: dove c’è potere e
denaro ci sono maniaci del sesso. Adesso il fenomeno però pare aver invaso ogni
strato sociale. Sociologi e psicanalisti si scannano per spiegarne il perché e
non sanno dare una risposta certa. Anche se pare che Youporn abbia dato una
bella spinta all’andazzo, assieme all’invenzione del Viagra e della pillola del
giorno dopo. E assieme alla “liberazione” delle donne, sempre più disinibite. Rihanna,
Lady Gaga e altri idoli dei giovani fanno a gara a chi si mostra più spogliata e sconveniente: Miley Cyrus a Londra ha cantato nuda, Lady Gaga alla fine di un suo brano si è tolta le mutande e se ne andata lentamente a culo nudo mentre il pubblico andava in delirio. Le giudico minorate psichiche, anche perchè non sanno il danno che fanno alle donne stesse. Forse è anche colpa loro se adesso dilagano le baby-prostitute che, svergognate, si danno via per i soldi che servono al trucco, ai bei vestiti, alle borsette griffate.
Oggi tutto è sesso. E la pubblicità cavalca il
fenomeno con slogan a doppio senso: “Fidati,
te la do gratis. La montatura”, dice una prosperosa ragazza ammiccando dai
cartelloni. La montatura degli occhiali, s’intende. Per catturare l’attenzione
si usa la parola magica: “SESSO SESSO
SESSO – E ora che abbiamo attirato la vostra attenzione vi invitiamo nel
rispetto di tutti a tenere un tono di voce moderato. Grazie.” diceva il
cartello esposto davanti all’Osteria Mavi di Roma. A fine novembre 2013 una catena di ristoranti canadesi per pubblicizzare una propria guida si è inventata cibi a forma di genitali. Sono diventate famose le
ucraine Femen: da alcuni anni protestano a tette nude contro il turismo e la discriminazione sessuale, una di loro nel gennaio
del 2013 si è mostrata con i capezzoli al gelo anche in una piazza gremita di
gente che ascoltava Papa Ratzinger, non ricordo a che cosa fosse dovuta quella
dimostrazione. Un'altra un anno dopo per non essere da meno si è esibita davanti a Papa Francesco. A Natale 2013 un'altra di queste esaltate ha fatto irruzione con i capezzoli al vento durante la messa a Colonia. Ad ogni occasione, adesso le donne si spogliano in pubblico. A mio parere se vai in giro a tette nude incrementi il turismo sessuale, ma forse sono troppo in là con l'età per capire certe cose. No invece, ho ragione io. Sono delle povere mentecatte. Da ringhiudere in un ospedale psichiatrico.
A Los Angeles ogni anno c’è il festival del porno. “Cinquanta
sfumature di grigio”, scritto da un’inglese nel 2011, è diventato un bestseller
dell’erotismo ed è stato tradotto in film. E pensare che ai miei tempi si leggeva
di nascosto l’innocente “L’amante di Lady Chatterly”, scritto nel 1928, subito
tolto dalla circolazione per oscenità e poi riapparso in Europa nel 1960: per
la prima volta si faceva cenno alle fantasie e ai desideri delle donne e questo
pareva sconvolgente. Il tema della pedofilia invece veniva sottinteso nel romanzo di Nabokov "Lolita", del 1955. Tutta roba all'acqua di rose, comunque. In Germania in tv c’è “Make Love”, un reality del sesso
che dovrebbe insegnare i segreti del piacere. Da noi Rocco Siffredi, ex
pornoattore, sul piccolo schermo insegna alla sua maniera a tener vivo il
desiderio. L’ultima trovata è di una compagnia tedesca, che ha inventato la
vodka al sapore di tette: il liquore viene cosparso sui seni di prestanti
ragazze e poi imbottigliato, così – dicono – ne conserva il sapore. Una vera e propria perversione. Eric Cantona,
calciatore francese ed ex del Manchester U. ha recitato (?) in un film porno,
adesso sono stati offerti 7.800 euro ad Asprilla, ex del Parma, per fare un
film del genere: pare che abbia un attrezzo spropositato (lo rivelò Buffon in
una intervista) e questo naturalmente è fondamentale per la “recitazione”. Alcuni
scienziati definiscono questa ossessione per il sesso una vera e propria
malattia. Paradossalmente pare che nelle coppie dopo il primo anno di
matrimonio il calore si affievolisca. Con grande piacere dei medici che adesso
si specializzano nelle disfunzioni erettili o nella eiaculazione precoce. E nelle ristrutturazioni delle vagine un po' consunte dagli anni. Io sono vecchio e non capisco, ma
penso che la gente sia impazzita. E tutto questo sinceramente mi fa schifo.
giovedì 24 ottobre 2013
RIFLESSIONI - Un mondo di giochi
Se ti guardi in giro ti viene subito da pensare
che stiamo allevando generazioni di bambini felicissimi, appagati e sempre
sorridenti. Nei supermercati ci sono enormi reparti colmi di giocattoli di ogni
tipo, dalle bambole agghindate come fotomodelle alle automobiline a motore,
dagli eroi dei cartoni animati ai pupazzi di plastica e ai pelouches. Le stesse
cose le vedi nelle cartolerie e nei negozi specializzati. E poi ci sono i
parchi-giochi, contenitori di divertimenti assortiti: da Mirabilandia a
Gardaland e a Fiabilandia, dalla stupefacente Legoland in Germania alla
mirabolante Disneyland di Parigi.
Viviamo in un’epoca di esagerazioni, e queste
toccano anche il mondo dei bambini. Inutile poi venire a dire: si stanca subito di un gioco… E’ ovvio,
quando la scelta è sterminata succede così: subentra la noia, in attesa della
prossima novità. Mi viene spontaneo pensare alle poche cose di
cui un tempo disponevano i bambini per divertirsi e passarsi il tempo.
All’aperto c’erano i giochi con le palline nelle piste scavate nella terra o
nella sabbia, le gare di tappi di latta su una pista disegnata sui marciapiedi col
gesso, rubabandiera, nascondino. In casa c’erano gli eterni “giochi da tavolo”,
dal Monopoli (inventato dagli americani nel 1935) ai Puzzle (risalgono al
1760), dal Gioco dell’Oca (1560, origine italiana), alle costruzioni con
pezzetti di legno poi trasformati da un danese nel 1949 nei cosiddetti Lego. Le
bambine giocavano con le bambole di pannolenci (la ditta torinese Lenci le
produsse dal 1919), i maschietti con le automobiline di latta.
Personalmente
ricordo che da piccolo mi fabbricavo delle macchinine con la terra-creta, la
terracotta insomma: con le mani plasmavo un rettangolo, con un temperino
intagliavo cofano e sportelli poi aggiungevo le quattro ruotine che ovviamente
non giravano; quando ne avevo voglia, e se in casa trovavo della vernice, le
lasciavo seccare e poi le coloravo. Erano piccoli gioielli. Bè, era una bella
sensazione davvero crearsi qualcosa da solo! Il mondo è andato avanti e com’è
giusto che sia molte cose del passato sono scomparse, compresi giochi e
giocattoli. Ma assieme ad essi sono scomparsi anche la fantasia e la
creatività.
Adesso è tutto già fatto, suggestivo certo, ma magari
pauroso. La soddisfazione del possesso di un gioco dura lo spazio di un
sorriso, quando è possibile farlo. Perché oggi in commercio ci sono anche giochi
da paura o che comunque non lasciano tracce di serenità: accanto ai giocattoli
“educativi” ci sono mostri, alieni, vampiri, robot, guerrieri attrezzati apposta per
combattere e distruggere; i Gormiti vengono esaltati per la loro “forza
devastante”, per esempio; c’è un tale Lord Magor definito come “il male più
oscuro”. Mi piacerebbe sapere cosa passa per la mente di coloro che si
inventano orrori del genere. Dicono che anche questi sono educativi, per
aiutare i bambini ad esorcizzare le loro paure. Roba da psicanalisti. Psicanalisti
– dico - per coloro che inventano questo tipo di giocattoli. Forse qualche
ragazzino alle prese con facce feroci o fiamme sputate si divertirebbe di più
se talvolta provasse il Gioco dell’Oca o il Monopoli.
mercoledì 23 ottobre 2013
RIFLESSIONI - La mania dell'inglese
Abbiamo il ministero del welfare, politici, televisioni e
giornali sproloquiano con grande disinvoltura della service tax, della
spending review (che sarebbe la revisione della spesa pubblica) e di streaming,
inducendo la gente comune a chiedersi di che cosa si stia blaterando. Trovo
ridicola e abbastanza stupida questa mania di sconvolgere la nostra lingua:
siamo un paese che in generale non sa parlare né capire quella lingua
universale che è diventato l’inglese eppure ne adottiamo parole in quantità
smisurata, più di ogni altra nazione. Una volta ho sentito alla tv un
giornalista addirittura dire “plas”, inglesizzando il latinissimo “plus”.
Nelle pubblicità si reclamizzano i telefonini "mobail" storpiando l'italianissimo "mobile" (dal latino "movere", muovere). Questo che sto scrivendo è un "post": leggo su qualche vocabolario che
è parola inglese. Col cavolo! Gli inglesi
l'hanno preso dal latino "positus"! "Occupy" adesso va tanto di moda e viene tronfiamente detto senza sapere che deriva dal latino "obcapere", prendere possesso. Ultimamente dilaga la parola "selfie": vuol dire autoscatto ma vuoi mettere dirlo in inglese?! Fai un figurone. Nelle offerte estive o nei viaggio viene trionfalmente detto che è "all inclusive": tutto compreso era forse troppo difficile. C'è una interessantissima trasmissione tv, si chiama "coffee break": era troppo volgare chiamarla pausa caffè? Su un giornale ho letto un titolo che sicuramente era destinato ad appassionati di enigmistica: "Crowdfunding per l'Ijf". E un altro ancora: "Moovely ti dà un passaggio, la nuova app del carpooling". Incomprensibile ai più. Tempo fa il Ministero
dell’Interno ha avviato una campagna contro il femminicidio mettendo in
circolazione T-shirt ("maglietta" non andava bene eh?)
con la scritta “No more feminicide”: d’accordo che il fenomeno è internazionale
ma sarebbe stato tanto vergognoso scrivere “Non più femminicidi”?
La ex Ministro
Fornero ebbe a dire che i giovani sono "choosy" (schizzinosi) inducendo
tutti ad andare a sfogliare il dizionario per vedere se fosse un insulto o un
complimento. La mostruosità più orribile l'ho letta qualche giorno fa: in un libricino di storie sulle Winx (cartoni per bambini) si dice che le piccole fate hanno fatto "un master di magia". Un master di magia?????? Vallo a spiegare cos'è a una bambina di 5-6 anni. Chi ha scritto una cosa del genere è uno fuori dal mondo: era proprio necessario usare la parola master quando la nostra lingua propone "scuola" o "corso"? Il fascismo fece una crociata contro quella consuetudine già
emergente negli anni 20, talvolta rendendosi patetico: il gol di una partita di
calcio per esempio divenne “porta” o “rete”, il bar venne chiamato
"mescita" e il cocktail "bevanda arlecchina". Non pretendo
tanto, in tempi di globalizzazione. Mi vanno bene parole che sintetizzano un
concetto meglio dell’italiano, come blitz o boom o stop, ma non accetto che una
squadra sia diventata un team, che la pausa pranzo si chiami break, che un
periodico sia un magazine, che per dire spazzatura si debba ricorrere a trash o
che il biglietto debba essere chiamato ticket e lo spuntino uno snack. Siamo dei provincialotti:
abbiamo una delle lingue più armoniose ed espressive del mondo ma crediamo di
elevarci pronunciando (spesso storpiandole) parole di altra estrazione.
RIFLESSIONI - La tv canaglia
La tv è una trappola micidiale. Come il fumo o
l’alcol. Assunta con moderazione può anche farti bene, in dosi massicce ti crea
danni. A lungo dà assuefazione, e questo è il male peggiore. Ultimamente, da
pensionato, combatto contro la tentazione di abbandonarmi sul divano. Mi
piacciono i documentari e le inchieste giornalistiche, ma cerco di stare davanti
a quello schermo il meno possibile. Perché uccide la fantasia, sopprime la
possibilità di colloquio, toglie la voglia di muoversi. Ha affossato il cinema
e il teatro, ha stangato i giornali che già erano poco letti. Ha incrementato
la vendita di occhiali e di apparecchi acustici. I genitori le hanno delegato
il compito di educare i figli o ne hanno fatto uno strumento per non essere
disturbati. La tv pare avere ipnotizzato la maggior parte di noi e condizionato
i nostri comportamenti. Uno arriva a casa stanco dal lavoro e la prima cosa che
fa è accenderla o sedersi davanti alla tv già in funzione. Si mangia guardando
la tv. La sera, magari si va a letto col televisore acceso per addormentarsi
prima. La tv è carogna, ti può catturare senza più darti possibilità di scampo,
siamo schiavi del telecomando, facciamo zapping con assiduità maniacale fra i
vari canali che adesso sono anche “tematici”. Puoi scegliere tra filmini
polizieschi, telenovele, avvenimenti sportivi, cartoni animati, chiacchiere di ogni genere,
programmi di cucina fatti anche da chi non sa cucinare, donne seminude ad ogni
angolo, televendite, trasmissioni con pacchi o risposte da indovinare. Una
volta – dal 1957 al 1977 - c’era “Carosello”, adesso la pubblicità ci viene
elargita con perversa frequenza.: esiste la pubblicità interrotta di tanto in tanto dai programmi.
Ormai la tv ha stroncato anche se stessa: è
senza fantasia. Da anni non c’è niente che possa essere paragonato a “Lascia o
Raddoppia” di Mike (1955), al "Processo alla tappa" di Sergio Zavoli (1962-1969), a “Portobello” di Tortora (1977), al “Costanzo Show”
di Maurizio Costanzo (1982) o a “Quelli della notte” (1985) del geniale Renzo Arbore. Di oggi, salvo "Striscia la notizia" in onda dal 1988 e "le Iene" dal 1997: due programmi apparentemente leggeri ma che a loro modo fanno giornalismo d'inchiesta. Siamo partiti
nel 1954 con un solo canale e qualche ora di programmi giornalieri, adesso i
canali sono centinaia e funzionano 24 ore su 24. Ci sono mille programmi di cucina, altrettanti talk show: roba che assimiliamo impotenti a reagire. Credo che la storia
dell’umanità andrebbe divisa a seconda delle invenzioni che ci hanno cambiato
la vita. Prima e dopo le auto, prima e dopo gli aerei, prima e dopo la
televisione, prima e dopo internet. Io ho vissuto la mia adolescenza quando ancora
non c’era la televisione. Ricordo che giocavamo di più, parlavamo di più,
leggevamo di più, eravamo più attivi e fantasiosi. Poi a stupirci arrivò la tv,
novità sensazionale e stravolgente. Una svolta epocale. Si andava in casa dei
vicini più agiati a vedere “Lascia o raddoppia” di Mike Bongiorno. I bar si
erano attrezzati con file di sedie per la gente che a sera scendeva a farsi incantare
davanti allo schermo; sotto il televisore c’era bene in vista un grande
cartello: “consumazione obbligatoria”. Possedere un proprio televisore era la
maggiore ambizione di ogni famiglia. Oggi in ogni casa ce ne sono anche 3 o 4,
apparecchi piatti e non più gli scatoloni di una volta, schermi sempre più
giganteschi. “L’ha detto la tv!”, affermiamo con convinzione: come se da
quell’affare uscissero solo verità consacrate. Apparire in tv, anche per caso, equivale a un salto di qualità
nella considerazione degli altri: “Ti ho
visto in tv!!!!”, si dice con un sorriso fra l’invidia e il compiacimento.
Come se l’”apparizione avesse qualcosa di miracoloso. E invece l'esito può essere drammatico: il "disturbatore pubblico" Gabriele Paolini - figlio 40enne di un generale dell'esercito e di una cantante lirica - è diventato a suo modo famoso per essersi intrufolato nelle inquadrature di servizi esternando insulti e idiozie, tanto che molti giovani o minorenni ne sono divenuti ammiratori. Al punto di sottomettersi alle sue voglie isane. Il tragico di questa cosa è che parecchi programmi tv ne hanno fatto un protagonista, chiamandolo in studio: una cosa aberrante che la dice lunga su cosa sia diventata la cosiddetta informazione. Solo un giornalista, nel 1998, ebbe il coraggio di prenderlo a calci: Paolo Fraiese. Gli altri l'hanno subìto e nessuno si è preso il disturbo di internarlo in un ospedale psichiatrico come sarebbe stato giusto. Adesso è internato, in carcere. Per induzione alla prostituzione minorile.
sabato 19 ottobre 2013
AMARCORD - Le folli notti al Guerino
Una delle più interessanti iniziative del “Guerin
Sportivo” nella sua storia centenaria è stato il “Film del Campionato”: l’aveva
ideato Italo Cucci, direttore, a metà degli anni 70. Ogni settimana 16 pagine
del giornale venivano riservate a foto, tabellini e disegni (di Paolo
Samarelli) relativi alla precedente domenica di campionato, che poi i lettori raccoglievano
e conservavano per rilegarle a fine stagione in modo da avere in mano il
riassunto dell’intera annata calcistica. Nel 1987 Marino Bartoletti perfezionò
l’idea: il Film del campionato veniva pubblicato la domenica stessa delle
partite. E questa fu un’avventura straordinaria. Allora non c’erano le foto
digitali né internet per trasmetterle in redazione.
Ogni domenica il Guerino spediva uno o due
fotografi sui campi della Serie A. Il problema nasceva quando si trattava di
fare arrivare le foto a Bologna in tempo utile - cioè entro le 11 di sera - per
sviluppare le pellicole, selezionare le immagini e impaginare. Qui entrava in
scena la fantasia, l’incoscienza, lo spirito di sacrificio di quei folli fotografi.
C’era qualcuno come il “magico” Guido Zucchi o il “pazzo” Bellini che erano
capaci di mettersi in macchina a Lecce e arrivare a Bologna in meno di 5 ore. C’era
qualcun altro, come Paolo Cassella, che dopo aver fatto la partita della Roma o
della Lazio, si precipitava ad un punto convenuto per raccattare i rullini che
arrivavano da Cagliari o da Bari per poi correre all’aeroporto o alla stazione
e imbarcarli su un aereo o un treno. Capozzi, da Napoli, se per un ingorgo
perdeva la possibilità di consegnare le sue foto, inforcava la macchina e ce le
portava fino in redazione. Calderoni, quando batteva i campi del nord, si fermava
al casello di Piacenza ad aspettare le foto che arrivano da Genova o da
Bergamo.; aspettava impassibile, non perdeva mai la calma se qualcuno accusava
pesanti ritardi. Tutto questo con sole o pioggia, neve o nebbia. Dietro a tutto
ciò c’era un incredibile lavoro di coordinamento affidato a Maurizio Borsari, la
cui fantasia non conosceva limiti. A volte il recupero delle fotografie avveniva
attraverso le vie più inimmaginabili. Da Bari capitava che ce le portasse il
mediano Angelo Colombo, che ogni domenica sera tornava a Milano e a Bologna
aspettava al casello un nostro fattorino; oppure lo stesso mister Salvemini,
che dopo la partita tornava in famiglia a Reggio Emilia. Le foto della Samp
spesso le dovevamo alla cortesia di Pari, quelle della Juve a una tifosissima
bianconera che abitava a San Lazzaro, la Rosa. Spesso entravano in gioco anche
arbitri, capotreni, piloti di aerei: tutti straordinariamente disponibili e
mobilitati per fare arrivare in tempo al Guerino le immagini delle partite. E
spesso accadevano episodi curiosi. Una volta a Roma il mitico Cassella aveva
perso l’aereo. Si precipitò in stazione. Fermò il primo passeggero “affidabile”
in partenza per Bologna e gli chiese se poteva portare un pacchetto di rullini.
Il passeggero era un prete. Si mise a strillare come un’aquila, chiamò la Polfer
urlando che uno sconosciuto voleva appioppargli, forse, una bomba. Cassella solo
dopo un’ora riuscì a chiarire l’equivoco. Le foto, quella volta, arrivarono con
grandissimo ritardo. Ma arrivarono.
Una volta giunte in redazione le pellicole
venivano portare allo sviluppo presso il laboratorio di Franco Villani, distante una decina di km dal Guerino. Poi
Villani portava le diapositive in redazione e il direttore e i suoi più fidati
collaboratori sceglievano le migliori per impaginarle assieme ai disegni di Samarelli che intanto erano arrivati via fax. A raccontarla così oggi sembra una follia.
Forse lo era. Ma quando alle 5 di mattina te ne tornavi a casa per andare a
letto, ti sentivi di aver “creato” qualcosa di importante. Per te e per i
lettori.
venerdì 18 ottobre 2013
AMARCORD - Quei giorni a Grado, da Nico
Negli anni 70 i calciatori non andavano in
vacanza ai Caraibi, alle Maldive o a Ibiza (che allora nessuno conosceva).
Andavano invece a Rimini o Viareggio dopo essere stati una settimana a Grado,
in provincia di Gorizia. Lì, e a Lignano, facevano le cure termali. A me,
giovane redattore di “Stadio”, era toccato il compito di fare “le interviste
estive”, a luglio. Ci andai per parecchi anni di seguito (270 km con la 500 di mio padre, non si arrivava mai), e a lungo andare la cosa anziché
annoiarmi divenne divertente. I calciatori in vacanza frequentavano la modesta locanda
di Nico, "Alla fortuna", che nel 2010 è stata tirata a nuovo e chiamata “Nico – Antica Trattoria
Alla Fortuna”. Nessuno rifiutava dieci minuti di chiacchiere rilassanti, che io
poi spalmavo su una pagina intera, condita con inedite foto a colori. Ad un
certo punto divenni così "di famiglia" che non occorreva più che andassi a cercare
i calciatori: venivano loro da me, che stavo seduto a un tavolino, magari
convocati da Nico stesso: Fai un salto qui che c’è Facchinetti…. In quel
periodo mi feci tutti i giocatori più popolari: Gigi Riva era in apparenza
sempre riservato e serioso, ma una sera spalmò del burro sulla schiena di un collega; Fabio
Capello, bellissimo, si teneva i baffetti e amava scorrazzare sulla spiaggia
con una “dune buggy”; Marcello Lippi, gentile ed elegante, la prima volta gli andai a parlare al
“Sans Souci”, un localino dove si faceva musica. Le mie interviste divennero
così popolari che Nico tappezzò le pareti della sua locanda con le mie pagine
di “Stadio”. Colto da un soprassalto di nostalgia, alcuni anni fa con mia
moglie sono tornato a Grado: sempre bellissima ma tutto cambiato, parcheggi
intasati di auto, nessun calciatore in giro. E la locanda di Nico trasformata
in maniera irriconoscibile, bellissima ma non più la “mia” locanda. Non
bisognerebbe mai guardarsi indietro…
giovedì 17 ottobre 2013
AMARCORD - La Comaneci al pianoforte
Duilio Fenara era un procuratore sportivo,
svolgeva il suo lavoro soprattutto con i pugili ma frequentava ogni branca
dell’attività sportiva. A metà degli anni 70, stanco di girare il mondo, aveva
acquistato alla periferia di San Lazzaro di Savena una vecchia casa da
contadini con annesso fienile. L’aveva scelto proprio bene, il posto dove
riposarsi. Era un posto magico, situato in mezzo alla campagna bolognese, là
dove gli ultimi contrafforti dell’Appennino tosco-emiliano si fondono con la
pianura. Di fianco alla casa, un laghetto artificiale scavato fra pini, abeti e
querce. Ci si arrivava percorrendo una strada sterrata che con un ponte
scavalcava il torrente Zena e che finiva
lì. Era la pace assoluta. Anni dopo anche Gianni Morandi sarebbe andato
a vivere da quelle parti, poche centinaia di metri distante dalla casa di
Fenara. Comprandosi e ristrutturando un’antica ed enorme casa e, per stare
tranquillo, anche la collina che la sovrastava. Detto per inciso, dietro quella collina, c'è la villa di Alberto Tomba. Ma prima di Morandi c’ero
andato io, a un chilometro dallo “Chalet del Lago”: così Fenara aveva chiamato
la sua casa dopo averla trasformata in locanda. Quella locanda era diventata in
poco tempo il ritrovo di appassionati di sport, ti capitava ad esempio di
incontrare Amaduzzi, il manager di Nino Benvenuti, o qualche giocatore del
Bologna. Era un traffico continuo di vecchie e nuove glorie sportive. Anche
perché poco distante c’era la trattoria di Romano, presidente del San Lazzaro
Calcio, e dunque altro polo d’attrazione. Cominciai a frequentare la locanda di
Fenara quando ancora non abitavo lì. Sua moglie faceva dei tortellini da fine
del mondo e un risotto ai funghi da sballo: ci andavo con moglie e figlio
piccolo quando sentivo il bisogno di una mezza giornata di completo relax. Un
giorno del 1977 Duilio mi chiamò e mi disse che avrebbe ospitato nel suo Chalet
la Nazionale di ginnastica della Romania, mi interessava? Mo sorbole se mi
interessava! C’era la grande Nadia Comaneci, fresca dei trionfi delle Olimpiadi
di Montreal dove aveva vinto 3 medaglie d’oro, una d’argento e una di bronzo. Miglior
posto per stare in pace e lontana dai clamori della stampa non avrebbe potuto
trovare. Passai un pomeriggio intero con la giovane Nadia (aveva 15 anni), le
feci una lunghissima intervista esclusiva pubblicata il giorno dopo su “Stadio”,
soprattutto la scoprii come bambina “libera”, per
qualche ora spogliata della sua fama. Correva sul prato attorno al lago, suonava il pianoforte che era
piazzato appena dopo l’entrata, rideva e scherzava con le compagne. Anni dopo
Fenara se ne andò da lì, col figlio musicista aveva aperto una osteria da
un’altra parte, in una via trafficatissima. Lo Chalet del Lago passò di mano in
mano ma nessuno seppe attirare tanta gente come lui. E così chiuse. Quella vecchia
casa da contadini è oggi un condominio, il laghetto è mezzo prosciugato e non
ci si può avvicinare perché un enorme cancello di ferro ti sbarra il passaggio.
Adesso, quando faccio la mia camminata quotidiana, mi fermo lì davanti e mi
viene da pensare all’amico Duilio, ai tortellini di sua moglie, alle mani di
Nadia sulla tastiera.
AMARCORD - Da Cesari con gli arbitri
Nei vicoli del centro storico di Bologna esistono
diverse osterie antichissime e cariche di suggestioni. La più vecchia è
l’Osteria del Sole, che risale al 1465. Famosissima è l’Osteria de’ Poeti,
aperta nel 1600 nelle cantine del Palazzo Senatorio (costruito nel 1400) e
cosiddetta perché frequentata da Pascoli e Carducci. Poi c’è l’osteria Da
Cesàri. La domenica sera, dopo la “chiusura” del giornale alle 23, noi
giornalisti partivamo per una avventura irrinunciabile: andare da Cesàri. Esiste
dai primi del 900 e nel 1955 era diventata di proprietà di Ilario, un omone
gioviale e allegro. A destra c’era un bancone lunghissimo e scaffali pieni di
bottiglie di vino. A sinistra i tavolini per sedersi a mangiare tortellini,
tortelloni, tagliatelle accompagnati da un micidiale Sangiovese fatto dal
titolare. Entravi e venivi subito travolto dal fitto chiacchiericcio dei
commensali e dall’odore acre di vino. Allora lavoravo a “Stadio”, quotidiano
sportivo bolognese. Ad andare da Cesàri eravamo soprattutto noi giornalisti del
calcio, poi tanti appassionati di sport, fra cui Lucio Dalla. E per un preciso motivo. Lì arrivavano puntualmente gli arbitri che
tornavano a casa dopo aver diretto le rispettive partite: arbitri della città o
che dal nord scendevano verso il sud. Ricordo il nostro Reggiani, e Monti di
Ancona. Anche per loro quella tappa era diventata obbligatoria. Fra una
cucchiaiata e l’altra di tortellini ci si scambiava opinioni su quanto accaduto
in campionato, le confidenze restavano tali e nessuno si sognava di usarle per
articoli del giorno dopo. Verso mezzanotte arrivava un usciere del giornale che
portava alcune decine di copie di “Stadio”. “Stadio” intanto era già in viaggio
verso il sud su un treno divenuto leggenda: il famoso LB delle 23 e 35. Famoso
perché l’orario di partenza da Bologna era fissato non dalle Ferrovie dello
Stato ma dall’uscita di “Stadio”: non si metteva in moto se non erano state
caricate le copie del giornale destinate al sud. Il tutto, ovviamente, con la
complicità dei capotreni che poi per Natale ricevevano un orologio in cambio
della loro elasticità.
Da Cesàri, con le copie del giornale in mano, giornalisti
e arbitri si facevano improvvisamente silenziosi, tutti a sfogliare le pagine. E
dopo di nuovo a commentarle assieme, soprattutto le “pagelle” delle partite: se
era presente un arbitro che magari si era beccato un 4, allora ci si metteva a
discutere, lui si difendeva spiegando quelli che parevano suoi errori e noi ad
ascoltarlo e magari ad assolverlo. Era un bel modo di vivere il giornalismo.
Per la cronaca, adesso da Cesàri comanda Paolino, figlio di Ilario: Paolino per
modo di dire, è grosso come il padre.
mercoledì 16 ottobre 2013
RIFLESSIONI - I soldi in gioco
Prima della fine della seconda guerra mondiale gli
italiani giocavano solo al Lotto, ideato più di 300 anni prima: sulla base di
sogni fatti e di altre acrobazie numeriche cercavano di indovinare ciò che una
mano anonima estraeva da un vaso. Poi venne il “concorso pronostici” dei
risultati del campionato di calcio. L’ideatore fu Massimo Della Pergola,
geniale giornalista sportivo nato a Trieste nel 1912. Essendo ebreo, nel 1938
dovette rifugiarsi in Svizzera; si ridusse a fare il mendicante, finì in un
campo di lavoro e qui cominciò ad elaborare un’idea: quella di pronosticare i
risultati di calcio. Si inventò un sistema semplice quanto efficace: in una
partita si doveva indicare con un “1” la vittoria della squadra di casa, con un
“2” quella della squadra in trasferta e con una “x” il pareggio. Tornato libero
e in Italia alla fine della guerra, nel 1946 fondò la Sisal - Sport Italia,
società che gestiva il concorso pronostici.
La prima schedina - con 12 risultati da indovinare - apparve il 5 maggio 1946 e fu
subito un successo: in un clima di miseria dilagante, erano moltissimi coloro
che speravano in un destino migliore indovinando i risultati del campionato. E
il successo fu tale che il Coni (e quindi i Monopoli di Stato) nel 1948 divenne
titolare della Sisal, chiamò “Totocalcio” il concorso pronostici e con i ricavi
finanziò la ripresa sportiva in Italia. La schedina divenne una vera e propria
mania, (estesa talvolta anche ad altri sport, come il ciclismo durante il Giro
d’Italia) anche per le suggestive pubblicità che la propagandavano: “Migliaia di milionari, milioni di vincitori,
miliardi distribuiti”. I risultati da pronosticare diventarono 13: fare "tredici" divenne il sogno di tutti. Per la storia, Massimo Della Pergola non ci guadagnò
mai una lira, continuò a scrivere per la “Gazzetta dello Sport”, divenne anche
collaboratore di “Stadio” (io lavoravo lì, fu lui a raccontarmi l’origine del
Totocalcio). Sul “Guerin Sportivo” Emilio Colombo, celeberrimo giornalista, fin
subito aveva giudicato “immorale” e un’autentica truffa ai danni del cittadino
quella mania di giocare la schedina. Era un tipo “avanti”.
Il delirio di giocate e di vincite anche
consistenti al Totocalcio durò fin verso la metà degli anni 90, quando lo Stato
decise di mungere questa insana passione degli italiani facendosi carico di
altre analoghe iniziative: il “Gratta e Vinci” è del 1994, il “Superenalotto”
del 1997. Il concorso pronostici di calcio, che finanziava il Coni, tentò di
replicare inventandosi il Totogol nel 1994, il Totobingo e il Totosei più
avanti. Oggi il Totocalcio vive ancora ma praticamente da clandestino e i soldi
per lo sport sono sempre meno. I nuovi “giochi” hanno preso il sopravvento
dilatandosi in maniera scomposta ed esagerata, grazie alla complicità dello
Stato. Recentemente l’agenzia Reuters ha scritto che “l’Italia è il più grande mercato del gioco d’azzardo in Europa”.
Nel 2000 gli italiani spendevano 14,3 miliardi l’anno in giochini vari; dopo,
con l’avvento incontrollato delle slot-machine, la cifra è cresciuta ogni anno:
oggi 30 milioni di italiani buttano circa 120 miliardi fra macchinette
mangiasoldi, gratta e vinci, lotto e superenalotto, scommesse varie. Il gioco
dà dipendenza, si sa: e oggi i “dipendenti” sono calcolati in circa 700.000. La
cosa è dilagata tanto che oggi pare sfuggita di mano allo Stato, che pure
l’aveva vergognosamente avvallata: dai vari “giochi” incassa poco più di 10
miliardi di euro.
martedì 15 ottobre 2013
LUOGHI E CITTA' - Finlandia, il sogno
Ho girato il mondo, sono stato nei paesi più strani. Ho un rammarico: non sono mai andato in Finlandia. E ce l’ho nel cuore, per vari motivi, soprattutto perchè è un Paese "diverso" dagli altri. Ha una superficie di 338.145 kmq (l’Italia è di 301.340 kmq) e solo poco più di 5 milioni di abitanti (come Roma Milano e Napoli messi assieme), la maggior parte dei quali concentrati in poche città del sud (Helsinki, Turku, Tampere). Quindi il resto è silenzio e tranquillità. E aurore boreali. Ha 187.888 laghi, per dire solo quelli di una certa dimensione, e per questo è chiamata riduttivamente “il Paese dei Mille Laghi”. La sua lingua appartiene al ceppo ungaro-finnico, quindi rarissima e diversa dal resto delle lingue europee. E’ percorsa da un verde sterminato che a nord si inserisce nella leggendaria Lapponia, terra delle renne, che per il 95% è parco nazionale e che è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio universale. Il periodico Newsweek recentemente ha definito la Finlandia come “il miglior paese del mondo”, anche se parecchi finlandesi hanno obiettato: si sta bene ma non è il paradiso. Le tasse sono molto alte (ma i servizi ai cittadini sono adeguati), studiare costa poco o niente, la criminalità è bassissima, ma il numero dei suicidi è stranamente elevato. E’ certo che la Finlandia è una delle nazioni più ricche. Un Paese così scarsamente popolato è sorprendentemente ricco anche di personaggi illustri: dal compositore Sibelius all’architetto Aalto, per citarne solo due. Il suo vanto di ieri è Paavo Nurmi, mezzofondista e fondista di atletica che fra il 1920 e il 1928 vinse 9 ori e 3 argenti olimpici. Il suo vanto di oggi è la Nokia, produttrice di cellulari.
Sogno la Finlandia dal 1955, quando avevo 17 anni.
Al liceo come lingua straniera studiavo il tedesco. Allora si usava mettere in
contatto studenti di nazioni diverse che nello rispettive scuole imparavano la stessa
lingua. A me toccò una ragazza, credo della mia stessa età, bionda, gli occhi
chiarissimi, la figura delicata e armoniosa. Si chiamava Laina Honkonen,
abitava a Kivijarvi, poi si trasferì a Saarijarvi. Mi descriveva il suo
paese e io il mio. Per Natale mi mandava libri illustrati sulla Finlandia, uno
sulla Lapponia. Li conservo ancora, assieme al ricordo di Laina che non ho mai
conosciuto di persona. Ci scrivemmo per alcuni anni, un’estate lei venne a fare
la cameriera in un paese austriaco proprio per darmi modo di raggiungerla più
facilmente, io non potei andarci per problemi di salute. E fu la fine del
nostro rapporto. Da allora mi è rimasto il rammarico di non averla potuta
incontrare ma soprattutto di non essere mai andato a visitare il suo Paese. Se
qualcuno mi legge dalla Finlandia, mi sa dire dov’è oggi la “mia” Laina?
RIFLESSIONI - Il pieno di tasse
IMU, acronimo di Imposta Municipale Unica, è il tormentone con cui i politici
ci hanno afflitto per mesi, tanto che ormai molti pensavano che da esso dipendesse la nostra vita. Toglieremo l’Imu, diceva una parte degli scaldapoltrone del
Parlamento sottintendendo: vi salviamo noi. No, guai a toglierla, obiettavano i
“sovversivi” che venivano subito guardati in cagnesco. E tutti passavano ore e ore
a discutere sulla questione, senza che gli scappasse da ridere.
Anzi, erano serissimi. “Esperti del nulla, di cui sanno tutto”, si diceva una
volta di chi parlava a vanvera. Il dramma è che qui non si tratta solo di
parlare a vanvera ma di essere fuori dal mondo a tal punto da considerare la gente una
massa di imbecilli. La questione è semplice. Per fare cose occorrono soldi. Per
fare soldi, siccome non si è capaci o non si vuole tagliare le spese inutili (ridurre i parlamentari, abolire le province, azzerare gli enti inutili) o di far
fruttare i patrimoni che abbiamo, occorrono le tasse. Hanno tolto l’Imu? Bene,
bravi. Tranquilli che quella somma la paghiamo ugualmente, e maggiorata, sotto un’altra
voce. Qualcuno ha provato a contare le tasse che ci affliggono: pare che siano un
centinaio, forse 107. Il luogo comune corrente è: “Ormai ci tassano anche
l’aria che respiriamo”. E magari è vero e non lo sappiamo. Abbiamo famigliarità con l’Iva, l’Irpef o l’Irap. Ma c’è una miriade di balzelli di cui
la maggioranza non sospetta nemmeno l’esistenza. C’è persino la “tassa
sull’ombra”! Non è una barzelletta: scatta quando la tenda di un locale invade
il suolo pubblico. E voi sapete cos’è la Tobin Tax che prende il nome
addirittura da un premio Nobel? E’ l’imposta sulla compravendita di titoli
azionari. E la Iscop? E’ l’imposta di scopo che un Comune chiede per uno scopo
specifico. Poi c ‘è la Tefa, il “tributo per l’esercizio delle funzioni
ambientali”, una addizionale della Tares (tassa sui rifiuti) che aveva sostituito la Tarsu e che adesso non c’è
più. C’è la Trise che somma la Tari e la Tasi. Anzi, non ci sono più nemmeno queste. Perchè al loro posto è arrivata la TUC, un calderone dentro il quale vengono pigiati balzelli di ogni genere. Anzi, no: da fine novembre c'è la Iuc che chissà come verrà battezzata a gennaio. A questo punto, a quei tipi incapaci e senza pudore che in stato confusionale si inventano queste cose incomprensibili, suggerirei una bella TAC. Al cervello. Non ne uscirebbe niente di buono, ne sono certo.
Immondizia allo stato puro è ciò che sta dentro la
benzina. Sulla quale non c’è una tassa nobilitata da un nome, ma un cumulo di
assurdità che i vari governi da anni riversano nel nostro serbatoio. Il perché
è facile da intuire: siccome l’auto è il bene che più o meno tutti possiedono
ed è irrinunciabile, scaricarci dentro le imposte più stravaganti è cosa ovvia.
Per dirla in breve: senza le 17 tasse che gravano sulla benzina, un litro lo
pagheremmo 721 centesimi. Sapete cosa c’è nel serbatoio? La tassa per il
finanziamento della guerra in Etiopia del 1935 e del Libano del 1983, per la
crisi di Suez del 1956, per le alluvioni di Firenze (1966) e Liguria e Toscana
del 2011, per i terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia
(1980) e dell’Emilia (2012); addirittura per il contratto degli autoferrotranvieri
del 2004, per l’acquisto di autobus ecologici del 2005, per il finanziamento
della cultura del 2011. Nell'autunno 2013 il ministro dell’Economia e delle Finanze,
Saccomanni, ha orgogliosamente detto che “l’Italia è un paese normale”. E’ un
colossale bugiardo. Nessuno ha tante tasse come noi e, ovviamente, nessuno ha tanti
evasori come da noi. Saccomanni, che vive fuori dalla realtà, a inizio 2014 ha avuto l'impudenza di idire un'altra assurdità: "Nel 2014 caleranno le tasse". Scommettiamo che non è vero?
RIFLESSIONI - Ma dove corriamo?!
"Come passa
il tempo! Sembra ieri che…”: è una
frase che diciamo tutti. Non ricordo di averla sentita 50 o 60
anni fa. Ricordo invece che al liceo in un tema scrissi che il progresso e la
tecnologia ci avrebbero ammazzato. Il professore di italiano mi riprese con
asprezza, mi diede un 4 come voto, e mi spiegò che avevo detto una grande
fesseria. Non ne sono mica tanto convinto, se mi guardo indietro. Chiaro che la
società deve evolversi, altrimenti saremmo ancora all’età della pietra, ma
l’accelerazione che la nostra vita ha subito negli ultimi decenni è
spaventosa e devastante. Oggi lo stress e la depressione sono malattie diffuse e sono il frutto della
velocizzazione della nostra esistenza. Abbiamo inventato il “fast food” che è la
più grande stupidaggine che avremmo potuto fare: il “mangiare veloce” ci ha
tolto una digestione serena, il piacere di gustare il cibo, la tranquillità di una
conversazione a tavola. E il tutto per che cosa? Per “correre”, non si sa dove e
a fare chissà cosa. Adesso c’è il treno ad alta velocità: perché dobbiamo
“correre” dietro ai nostri impegni sempre più pressanti. Una volta dietro a furgoni e camioncini c'era il cartello "vietato farsi trainare" destinato a chi, in bicicletta, si aggrappava alla sponda per non pedalare. Adesso anche i camioncini sfrecciano come impazziti e se ti attacchi penso che sia un tentativo di suicidio.
Credo che purtroppo sia una deriva ormai irreversibile anche se molti tentano una qualche resistenza: hanno riscoperto lo “slow food”, hanno tirato fuori la bicicletta in contrapposizione alle auto. Paradossalmente in questa era frenetica che sollecita la velocità, sono stati messi sulle strade i “dissuasori di velocità”, i “rallentatori artificiali” (servono più che altro a scassare le macchine), gli "autovelox". In prossimità delle striscie pedonali si sono inventati le linee che delimitano la carreggiata a zig-zag: sì, perchè altrimenti la auto arrivavano sparate. Rilassarsi e relax sono diventate le parole d’ordine di una generazione impazzita. La nostra esistenza però continua a scorrere con isterica velocità. Mi viene spontaneo pensare ai bambini, costretti da genitori sconsiderati a correre dietro a mille cose: dopo la scuola c’è il corso di danza o di pianoforte, la piscina, la scuola di recitazione o quella di equitazione: e loro crescono in maniera frenetica e stordente. Non sappiamo nemmeno più che cosa ci perdiamo, correndo così furiosamente. Provate a percorrere a piedi un tratto di strada che solitamente vi fate in macchina: scoprirete una infinità di cose mai notate prima.
Credo che purtroppo sia una deriva ormai irreversibile anche se molti tentano una qualche resistenza: hanno riscoperto lo “slow food”, hanno tirato fuori la bicicletta in contrapposizione alle auto. Paradossalmente in questa era frenetica che sollecita la velocità, sono stati messi sulle strade i “dissuasori di velocità”, i “rallentatori artificiali” (servono più che altro a scassare le macchine), gli "autovelox". In prossimità delle striscie pedonali si sono inventati le linee che delimitano la carreggiata a zig-zag: sì, perchè altrimenti la auto arrivavano sparate. Rilassarsi e relax sono diventate le parole d’ordine di una generazione impazzita. La nostra esistenza però continua a scorrere con isterica velocità. Mi viene spontaneo pensare ai bambini, costretti da genitori sconsiderati a correre dietro a mille cose: dopo la scuola c’è il corso di danza o di pianoforte, la piscina, la scuola di recitazione o quella di equitazione: e loro crescono in maniera frenetica e stordente. Non sappiamo nemmeno più che cosa ci perdiamo, correndo così furiosamente. Provate a percorrere a piedi un tratto di strada che solitamente vi fate in macchina: scoprirete una infinità di cose mai notate prima.
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