venerdì 4 ottobre 2013

STORIE IN BICI - Il diavolo in gonnella


Il Giro d'Italia vanta una prerogativa esclusiva nell'ambito delle corse a tappe di tutto il mondo: quella di aver avuto fra i concorrenti anche una donna. Si chiamava Alfonsina Strada (Morini, il nome da ragazza), partecipò al Giro del 1924 dopo aver corso anche il Giro di Lombardia 1917 e 1918. Emiliana di Castelfranco Emilia, nata nel 1891, seconda di dieci fratelli e sorelle, ciclista di grande valore in campo femminile specie come pistard: nel 1909 aveva anche ricevuto una medaglia d’oro dallo Zar di Russia Nicola II come riconoscimento del suo valore, nel 1911 aveva stabilito il record dell’ora femminile. Decise di sfidare gli uomini. Allora non esisteva ufficialmente un settore femminile del ciclismo e in teoria nulla impediva a una donna di partecipare a corse che erano prerogativa maschile: imperava però il concetto del "sesso debole", per cui era semplicemente impensabile che una ragazza prendesse parte a gare che richiedevano enorme dispendio di energie. Alfonsina Strada, regolarmente tesserata per l'Uvi, fu accettata al Giro 1924 solo per fare numero: per disaccordi fra gli organizzatori della Gazzetta dello Sport e le maggiori case ciclistiche, tutti i massimi campioni avevano disertato quella edizione della corsa a tappe e c'era dunque bisogno di infoltire il già scarno numero di iscritti. 


Alfonsina partì col n.72: aveva 33 anni, era sposata con Luigi Strada che aveva avuto disturbi mentali e che era ricoverato in manicomio, era considerata una eccentricità e nulla più. Si pensava che dopo un paio di giorni si sarebbe arresa e sarebbe tornata a casa. E invece divenne l'eroina di quel Giro, conquistandosi anche la simpatia e la stima di molti colleghi maschi. Arrivava quasi sempre in fondo al gruppo ma spesso dietro di sé lasciava diversi corridori. La stampa cominciò ad interessarsi a lei, così come il pubblico che aspettava per diverse ore con entusiasmo il suo arrivo. Alfonsina diede dimostrazione di grande temperamento e di insospettate doti atletiche. Nella 8.a tappa, l'Aquila-Perugia di 296 km, arrivò fuori temo massimo assieme ad altri corridori, ma considerando le avverse condizioni atmosferiche che avevano caratterizzato la traversata appenninica, fu riammessa in gruppo sia pure fuori classifica. In quella tappa si rese fra l'altro protagonista di un episodio definito poi eroico: cadde, si ferì seriamente ad un ginocchio, le si spezzò il manubrio della bicicletta; una contadina l'aiutò a rimediarne uno di fortuna legando al telaio un manico di scopa, e con quello strano veicolo Alfonsina raggiunse il traguardo. Durante il Giro la Strada ricevette molti riconoscimenti: un mazzo di fiori da parte del Re, una stella al merito sportivo da parte di D'Annunzio, 50.000 lire di una sottoscrizione fra tifosi promossa dalla Gazzetta dello Sport.

Concluse quel Giro, a differenza di una sessantina di uomini che si erano arresi, riuscendo tra l'altro a terminare entro il tempo massimo stabilito l'incredibile Bologna-Fiume, tappa di 415 km. pedalando per oltre 20 ore e giungendo al traguardo tre ore e mezza dopo il vincitore. Dopo quel Giro, Alfonsina visse sfruttando la popolarità acquisita. Partecipò a riunioni in pista assieme ai vari Girardengo, Petit Breton, Brunero. 



Dopo la morte del marito, sposò un ex ciclista, Carlo Messori, che l'aveva assistita nelle sue prime pedalate. Girò i teatri esibendosi con la bicicletta sui rulli, girò l'Europa col circo Barnum dando dimostrazione della sua abilità anche nella "ruota della morte", infine si sistemò a Milano, in via Varesina, dove aprì un negozio di riparazione di bici con annessa scuola di ciclismo per giovani speranze. Quel negozio ben presto divenne una specie di ritrovo di ciclisti: Coppi e Bartali se passavano da quelle parti non mancavano di andare a salutarla. Partecipò anche a corse per veterani, andava a seguire le gare vicine. Quando non potè più pedalare con forza comprò una Moto Guzzi usata. Morì un giorno del 1959 quando tentando di avviare la sua moto si accasciò a terra per un infarto.


Su di lei ho scritto un libro, “Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada”, ascoltando i racconti dei nipoti a Bologna, a Rimini, a Milano e ricostruendo nei dettagli la sua vita avventurosa. Quel libro ha avuto successo: è stato tradotto anche in olandese, ha dato lo spunto per diverse iniziative: come un lavoro teatrale, “Finisce per A”, o la nascita di una squadra ciclistica femminile, l’“Alfonsina Cicling Team”.



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