Anno Santo 1950, luglio. Calura infernale e discussioni di fuoco. La Nazionale di calcio torna a casa scornata dal Mondiale in corso in Brasile, il primo del dopoguerra: i grandi Parola e Boniperti, Campatelli e Amadei, Carapellese e Sentimenti IV dovevano difendere il titolo conquistato nel ’38 e invece sono stati miseramente buttati fuori al primo turno dalla Svezia di Jeppsson e Skoglung. Neanche il tempo di accapigliarsi per questa batosta che un’altra notizia clamorosa accende gli animi: il bandito Giuliano è rimasto ucciso vicino a Trapani in uno scontro a fuoco con i Carabinieri; pochi giorni dopo si saprà che in realtà ad ammazzarlo è stato il suo luogotenente Gaspare Pisciotta. Ma già incombe il Tour de France e questo è un altro grande argomento di discussione: non c’è Coppi, che durante il Giro d’Italia a Primolano è caduto fratturandosi il bacino, ma ci sono l‘immarcescibile Bartali che sta per compiere i 36 e il trentenne Fiorenzo Magni che è già il Leone delle Fiandre per via della seconda vittoria consecutiva in quella corsa. Anzi: abbiamo addirittura due squadre, i tricolori e i “cadetti”, 16 uomini in tutto. I nostri hanno vinto le ultime due edizioni del Tour: nel 1948 con Bartali e nel 1949 con Coppi che precedette in classifica il toscanaccio. Vinceremo anche questa volta? Sarà un Tour drammatico, che resterà nella storia per gli eventi che lo caratterizzeranno e che diede fuoco agli animi di tutti in quel luglio già torrido del 1950.
In Francia c’è una gran paura che i loro campioni si becchino un’altra batosta nella corsa a tappe nazionale da quei maledetti italiani. Che per di più corrono attuando nel ciclismo la tattica per cui vanno già famosi nel calcio: catenaccio e contropiede. Cioè: bloccano le fughe e magari vincono le tappe perché più freschi dopo aver succhiato le ruote e dopo sulle salite i loro scalatori fanno il colpo grosso. Questo scrivono i giornali francesi nel presentare il Tour 1950. Questo pensa e scrive sul But-et Club anche Jacques Goddet, patron della corsa. Certo, lo dice in maniera elegante: in riferimento ai nostri parla di “corsa d’attesa”, di “tattica all’italiana” ma sotto sotto ammonisce che questo è un comportamento contrario ai leali principi dello sport. Dopo la ramanzina, Goddet è anche passato alle vie di fatto: decurtati gli abbuoni sui Gran Premi della Montagna, così, tanto per raffreddare Bartali; obbligo morale per i capitani di impegnarsi anche nelle tappe cosiddette “facili”, così che Bartali e Magni non facciano flanella per metà Tour. E’ come dire: vi tengo d’occhio!
In Francia c’è una gran paura che i loro campioni si becchino un’altra batosta nella corsa a tappe nazionale da quei maledetti italiani. Che per di più corrono attuando nel ciclismo la tattica per cui vanno già famosi nel calcio: catenaccio e contropiede. Cioè: bloccano le fughe e magari vincono le tappe perché più freschi dopo aver succhiato le ruote e dopo sulle salite i loro scalatori fanno il colpo grosso. Questo scrivono i giornali francesi nel presentare il Tour 1950. Questo pensa e scrive sul But-et Club anche Jacques Goddet, patron della corsa. Certo, lo dice in maniera elegante: in riferimento ai nostri parla di “corsa d’attesa”, di “tattica all’italiana” ma sotto sotto ammonisce che questo è un comportamento contrario ai leali principi dello sport. Dopo la ramanzina, Goddet è anche passato alle vie di fatto: decurtati gli abbuoni sui Gran Premi della Montagna, così, tanto per raffreddare Bartali; obbligo morale per i capitani di impegnarsi anche nelle tappe cosiddette “facili”, così che Bartali e Magni non facciano flanella per metà Tour. E’ come dire: vi tengo d’occhio!
Non è un bel clima, quello che si crea intorno ai nostri. Qualcuno comincia a ricordare che questi italiani sono proprio dei furbastri: già nel 1949 i gregari di Coppi e Bartali avevano ingessato la corsa e ad Aosta alcuni corridori francesi erano stati pesantemente insultati da “fascisti” facinorosi, scrive la stampa transalpina. Il fatto che sul San Bernardino fossero stati gli italiani ad essere minacciati da tifosi francesi purtroppo era stato dimenticato. E poi prima del Tour c’era stata la polemica tra l’Uvi e Goddet: noi volevamo due squadre, come i belgi, e il patron rispondeva picche; aveva risolto la cosa Bartali con un “ricatto”: o due squadre o io non parto.
Insomma in quel Tour 1950 ci sono tutte le premesse per una bella guerra di nervi. E la gente freme d’attesa. Comincia la corsa e praticamente è subito rissa. Adolfo Leoni, un cadetto, vince la seconda tappa Metz-Liegi battendo in volata Magni, Bobet, Kubler e altri senza essersi sfiancato troppo durante la fuga. Alfredo Pasotti, altro cadetto e debuttante al Tour, il giorno dopo vince la Liegi-Lilla stracciando in volata altri sei compagni d’avventura, in verità avendo fatto al minimo la propria parte. La stampa transalpina accusa violentemente gli italiani di “succhiare le ruote” e di saltar fuori belli freschi al momento opportuno. I tifosi francesi recepiscono il messaggio e si impegnano nella contestazione: se un gregario biancorossoverde si ferma a una fontana a riempire le borracce sono insulti e manate sulle spalle; se un francese va in fuga e un italiano lo rincorre sono urla minacciose. Intanto noi vinciamo anche la 5.a tappa Rouen-Dinard con Giovannino Corrieri e l’8.a Angers-Niort con Magni: cioè, trionfo italiano in 4 tappe su 8. Maglia gialla è il francese Bernard Gauthier, regionale del Sud-Est, ma Goddet perde ugualmente la testa. Continua a scrivere contro l’antisportività dei tricolori e anzi accusa i “cadetti” di essere al servizio della squadra italiana ufficiale; durante la 9.a tappa – Niort Bordeaux – interviene addirittura con la sua ammiraglia per intimare a un “cadetto” di non dare il cambio in una fuga in cui erano impegnati anche due uomini di Binda. Una ingerenza inammissibile, un abuso d’autorità rilevato il giorno dopo anche da alcuni fogli francesi oltre che dagli inviati dei nostri giornali. In quella stessa tappa verso Bordeaux a un certo punto, per evitare altre polemiche, interviene Binda in persona: quando parte una fuga con Geminiani, Desbats e Schotte in cui entrano anche Pedroni, Bonin e Pasotti il CT raccomanda ai nostri di fare la loro parte. La fanno, ma sul traguardo di Borderaux vince ancora Pasotti sotto un diluvio di fischi: prima dell’arrivo l’altoparlante si era premurato di annunciare agli spettatori che “les italiens ne ménen pas”. Non è vero ma la folla è sadicamente felice di sentirlo dire. Bonini è terzo, Pedroni quinto.
Monta la furia dei tifosi francesi, gli italiani hanno vinto cinque tappe su nove e i loro poveri connazionali solo una – la settima – con Nello Lauredi che per di più ha sangue transalpino. Fortuna che un altro francese, Marcel Dussault, vince la decima tappa, la Bordeaux-Pau.
Siamo arrivati al 24 luglio, un lunedì, giorno di riposo, vigilia della prima tappa pirenaica, la Pau-St.Gaudens. Bartali assieme a Magni, Corrieri e Salimbeni si reca a Lourdes: una foto li immortala mentre bevono alla fonte miracolosa. Mentre il pio vecchiaccio cerca nell’acqua santa le energie per affrontare l’indomani l’Aubisque, il Tourmalet e l’Aspin, Binda si incontra con Goddet e con la stampa francese: la situazione si sta visibilmente deteriorando e occorre trovare una soluzione per calmare gi animi. Il patron ribadisce le accuse: noi succhiamo le ruote e soprattutto c’è connivenza fra la prima squadra e i cadetti. Binda replica che non è responsabile del comportamento dei cadetti. E che comunque conviene a tutti abbassare i toni della polemica: la cosa potrebbe sfuggire di mano. Bartali, che è molto pio ma orgoglioso in pari misura, a sera conversando con alcuni giornalisti italiani dice che “se domani dovesse succedere qualcosa di pericoloso che metta a rischio la nostra incolumità mi ritirerò”. Lo fa anche scrivere, nella rubrica “Dentro la corsa” che firma sul quotidiano fiorentino “Giornale del Mattino”.
Insomma in quel Tour 1950 ci sono tutte le premesse per una bella guerra di nervi. E la gente freme d’attesa. Comincia la corsa e praticamente è subito rissa. Adolfo Leoni, un cadetto, vince la seconda tappa Metz-Liegi battendo in volata Magni, Bobet, Kubler e altri senza essersi sfiancato troppo durante la fuga. Alfredo Pasotti, altro cadetto e debuttante al Tour, il giorno dopo vince la Liegi-Lilla stracciando in volata altri sei compagni d’avventura, in verità avendo fatto al minimo la propria parte. La stampa transalpina accusa violentemente gli italiani di “succhiare le ruote” e di saltar fuori belli freschi al momento opportuno. I tifosi francesi recepiscono il messaggio e si impegnano nella contestazione: se un gregario biancorossoverde si ferma a una fontana a riempire le borracce sono insulti e manate sulle spalle; se un francese va in fuga e un italiano lo rincorre sono urla minacciose. Intanto noi vinciamo anche la 5.a tappa Rouen-Dinard con Giovannino Corrieri e l’8.a Angers-Niort con Magni: cioè, trionfo italiano in 4 tappe su 8. Maglia gialla è il francese Bernard Gauthier, regionale del Sud-Est, ma Goddet perde ugualmente la testa. Continua a scrivere contro l’antisportività dei tricolori e anzi accusa i “cadetti” di essere al servizio della squadra italiana ufficiale; durante la 9.a tappa – Niort Bordeaux – interviene addirittura con la sua ammiraglia per intimare a un “cadetto” di non dare il cambio in una fuga in cui erano impegnati anche due uomini di Binda. Una ingerenza inammissibile, un abuso d’autorità rilevato il giorno dopo anche da alcuni fogli francesi oltre che dagli inviati dei nostri giornali. In quella stessa tappa verso Bordeaux a un certo punto, per evitare altre polemiche, interviene Binda in persona: quando parte una fuga con Geminiani, Desbats e Schotte in cui entrano anche Pedroni, Bonin e Pasotti il CT raccomanda ai nostri di fare la loro parte. La fanno, ma sul traguardo di Borderaux vince ancora Pasotti sotto un diluvio di fischi: prima dell’arrivo l’altoparlante si era premurato di annunciare agli spettatori che “les italiens ne ménen pas”. Non è vero ma la folla è sadicamente felice di sentirlo dire. Bonini è terzo, Pedroni quinto.
Monta la furia dei tifosi francesi, gli italiani hanno vinto cinque tappe su nove e i loro poveri connazionali solo una – la settima – con Nello Lauredi che per di più ha sangue transalpino. Fortuna che un altro francese, Marcel Dussault, vince la decima tappa, la Bordeaux-Pau.
Siamo arrivati al 24 luglio, un lunedì, giorno di riposo, vigilia della prima tappa pirenaica, la Pau-St.Gaudens. Bartali assieme a Magni, Corrieri e Salimbeni si reca a Lourdes: una foto li immortala mentre bevono alla fonte miracolosa. Mentre il pio vecchiaccio cerca nell’acqua santa le energie per affrontare l’indomani l’Aubisque, il Tourmalet e l’Aspin, Binda si incontra con Goddet e con la stampa francese: la situazione si sta visibilmente deteriorando e occorre trovare una soluzione per calmare gi animi. Il patron ribadisce le accuse: noi succhiamo le ruote e soprattutto c’è connivenza fra la prima squadra e i cadetti. Binda replica che non è responsabile del comportamento dei cadetti. E che comunque conviene a tutti abbassare i toni della polemica: la cosa potrebbe sfuggire di mano. Bartali, che è molto pio ma orgoglioso in pari misura, a sera conversando con alcuni giornalisti italiani dice che “se domani dovesse succedere qualcosa di pericoloso che metta a rischio la nostra incolumità mi ritirerò”. Lo fa anche scrivere, nella rubrica “Dentro la corsa” che firma sul quotidiano fiorentino “Giornale del Mattino”.
Martedì 25 luglio, 11.a tappa Pau-St.Gaudens di 230 km, con Aubisque, Tourmalet, Aspin. Una folla enorme, inconsueta, si è assiepata lungo il percorso e arrampicata sulle montagne. Nell’aria c’è una tensione incredibile. I tifosi francesi temono che Bartali, 36enne da una settimana, si scateni sul suo terreno preferito impedendo l’impresa dei loro Robic, Bobet, Geminiani, Gauthier, Lazarides. Un urlo disumano echeggia nelle valli quando la radio annuncia che il piccolo Robic è partito all’attacco sull’Aubisque: ha raggiunto Redolfi e Lambertini che se ne erano andati a Gan, li ha staccati e adesso arrampica di buona lena con 3’11” su Kubler, Meunier, Ockers e Bobet. Bartali è indietro, è caduto e ha perso minuti; Magni si sa, è tenace ma non uno da grandi montagne. Un grido di delusione percorre la folla quando si apprende che nella discesa dell’Aubisque Jean “testa di vetro” Robic è andato in crisi ed è stato raggiunto dagli inseguitori. Un grido che sottintende spavento si diffonde alla notizia che Gino Bartalì ha recuperato e che sta affrontando assieme ai primi le rampe del Tourmlalet.
Nel cielo si addensano nubi minacciose, di lì a poco pioverà. Di lì a poco si scatenerà anche il finimondo. Kléber Piot, dell’Ile de France-Nord-Est, è scattato verso il suo momento di gloria, sale da solo lungo i tornanti della montagna leggendaria. Ma dietro incombe Bartali: ha lasciato la compagnia dei grandi e chiaramente mira a infrangere il sogno del piccolo “regionale”. Una rabbia irrazionale di impossessa dei tifosi francesi. Qualcuno ha detto che nella massa le intelligenze superiori si abbassano al livello di quelle inferiori. Sul Tourmalet è così. Cominciano gli insulti a Bartali, qualche sputo, qualche manata sulla schiena, una minaccia sibilata mentre il varco fra la gente si fa sempre più stretto. Il toscanaccio si prende davvero paura, decide di lasciare Piot al suo destino e di farsi raggiungere da Bobet e Ockers che sono i più immediati inseguitori. Discesa del Tourmalet, ascesa del Col d’Aspin. L’assurdo atteggiamento della folla nei confronti di Bartali continua e anzi si fa sempre più aggressivo, tanto che Bobet e Ockers si mettono a difenderlo dagli insulti, dalle manate sulle braccia. Bobet si sente in dovere di assicurare a Ginettaccio che non tutti i francesi sono così. Ma l’indegna gazzarra continua, ormai in troppi hanno perso la testa, una macchina addirittura spinge Bartali contro il ciglio della strada. Interviene Goddet, su una moto della polizia fende la calca con un ramo d’albero in mano e disperde i facinorosi mentre Bartali, Ockers e Bobet si difendono a colpi di pompa. In cima all’Aspin Piot è ripreso ma quando Bartali per sottrarsi alla muta urlante dei tifosi francesi scatta per involarsi viene fermato da alcuni energumeni. Sono attimi di autentico terrore. Bartali è colpito, viene fatto cadere, gli viene sottratta la bicicletta. Ne fa le spese anche Robic, che sopraggiunge da un tornante e cozza contro la folla che circonda Bartali. Biquet cade e rombe una ruota, piange e si mette a inveire contro la folla dei suoi tifosi. Scriverà Bartali nel suo libro si memorie: “Sembrava che tutta la Francia si fosse data convegno su quelle montagne per farmi pagare non so quali sgarbi”. Volano pugni e calci, è una rissa. La Domenica del Corriere fisserà l’episodio sulla copertina del 6 agosto: G.De Gaspari disegnerà a tutta pagina un Bartali spaventato e soverchiato da alcuni energumeni tra i quali spicca un gigante in canottiera bianca. Vedremo poi di chi si tratta. Paolo Conte anni dopo, quando comporrà la celebre canzone dedicata al campione toscano si ispirerà al dramma dell’Aspin cantando “da quella curva spunterà / quel naso triste da italiano allegro / tra i francesi che si incazzano”.
Nel cielo si addensano nubi minacciose, di lì a poco pioverà. Di lì a poco si scatenerà anche il finimondo. Kléber Piot, dell’Ile de France-Nord-Est, è scattato verso il suo momento di gloria, sale da solo lungo i tornanti della montagna leggendaria. Ma dietro incombe Bartali: ha lasciato la compagnia dei grandi e chiaramente mira a infrangere il sogno del piccolo “regionale”. Una rabbia irrazionale di impossessa dei tifosi francesi. Qualcuno ha detto che nella massa le intelligenze superiori si abbassano al livello di quelle inferiori. Sul Tourmalet è così. Cominciano gli insulti a Bartali, qualche sputo, qualche manata sulla schiena, una minaccia sibilata mentre il varco fra la gente si fa sempre più stretto. Il toscanaccio si prende davvero paura, decide di lasciare Piot al suo destino e di farsi raggiungere da Bobet e Ockers che sono i più immediati inseguitori. Discesa del Tourmalet, ascesa del Col d’Aspin. L’assurdo atteggiamento della folla nei confronti di Bartali continua e anzi si fa sempre più aggressivo, tanto che Bobet e Ockers si mettono a difenderlo dagli insulti, dalle manate sulle braccia. Bobet si sente in dovere di assicurare a Ginettaccio che non tutti i francesi sono così. Ma l’indegna gazzarra continua, ormai in troppi hanno perso la testa, una macchina addirittura spinge Bartali contro il ciglio della strada. Interviene Goddet, su una moto della polizia fende la calca con un ramo d’albero in mano e disperde i facinorosi mentre Bartali, Ockers e Bobet si difendono a colpi di pompa. In cima all’Aspin Piot è ripreso ma quando Bartali per sottrarsi alla muta urlante dei tifosi francesi scatta per involarsi viene fermato da alcuni energumeni. Sono attimi di autentico terrore. Bartali è colpito, viene fatto cadere, gli viene sottratta la bicicletta. Ne fa le spese anche Robic, che sopraggiunge da un tornante e cozza contro la folla che circonda Bartali. Biquet cade e rombe una ruota, piange e si mette a inveire contro la folla dei suoi tifosi. Scriverà Bartali nel suo libro si memorie: “Sembrava che tutta la Francia si fosse data convegno su quelle montagne per farmi pagare non so quali sgarbi”. Volano pugni e calci, è una rissa. La Domenica del Corriere fisserà l’episodio sulla copertina del 6 agosto: G.De Gaspari disegnerà a tutta pagina un Bartali spaventato e soverchiato da alcuni energumeni tra i quali spicca un gigante in canottiera bianca. Vedremo poi di chi si tratta. Paolo Conte anni dopo, quando comporrà la celebre canzone dedicata al campione toscano si ispirerà al dramma dell’Aspin cantando “da quella curva spunterà / quel naso triste da italiano allegro / tra i francesi che si incazzano”.
A salvare il nostro campione dalla follia collettiva interviene ancora Goddet, questa volta col rinforzo di un nutrito nugolo di poliziotti. Dispersa la folla, un gruppetto di nove uomini fra cui Magni, rinvenuto per il rallentamento dei primi, viaggia verso il traguardo di St.Gaudens. Vinse Bartali, con merito, battendo in una rabbiosa volata Bobet, Ockers, Geminani e gli altri. Il trionfo tricolore é completato dalla conquista della maglia gialla fa parte di Magni: Bernard Gauthier era nufragato sulla montagne. In classifica Bartali dal 19.o posto salì al sesto.
Non c’è esultanza nel clan tricolore mentre si avvia verso l’albergo posto a Loures-Barousse inseguito da giornalisti di ogni nazione. La faccia di Bartali non premette niente di buono. E le sue labbra sibilano la frase temuta: “Domani me ne vado a casa. Non siamo in guerra e non voglio che si faccia guerra per noi”. Binda ascolta e tace: frasi dette a caldo, pensa; abbiamo vinto 6 tappe su 11, abbiamo la maglia gialla e possiamo vincere il Tour, sarebbe assurdo… Goddet invece prende la minaccia sul serio. Si precipita all’albergo degli italiani. Ha la coscienza sporca, sa che quella follia è nata anche dai suoi commenti. Il ritiro degli italiani sarebbe uno smacco per la sua corsa. Tenta di trattare con Bartali e Binda. Promette che aumenterà la scorta di poliziotti, ammette che Bartali non c’entra niente con il comportamento dei cadetti e anzi ha già fatto scrivere su L’Equipe un articolo in questo senso. Ha anche dettato il titolo della prima pagina, che a dir la verità non è esattamente corretto: “Tre grandi: Bartali, Bobet e Robic / violentemente minacciati dalla folla”. Fa anche una proposta assurda: la squadra italiana può correre vestita di una maglia neutra, in modo che la gente non possa riconoscere i corridori. Bartali è sempre più determinato: è offeso e spaventato. La stampa italiana è con lui. I corridori, tricolori e cadetti, sono quasi tutti d’accordo ad assecondare Ginettaccio, che ribadisce: “Io torno a casa, gli altri sono liberi di fare ciò che si sentono”. Solo Leoni è contrario ad abbandonare: propone di restare e anzi di vincere il più possibile per farla vedere a questi francesi. A Magni, Adolfo suggerisce di continuare, “puoi vincere il Tour, sei in forma”. Binda non sa che fare, telefona a Roma, espone i fatti e riceve l’ordine: “Tornate a casa”. Goddet implora gli italiani fino alle 3 di notte. E alle 8 di mattina, poco prima del via della St.Gaudens-Perpignano, è ancora lì che chiede a Magni di non abbandonare la maglia gialla. Ma il clan italiano è unito: se ne vanno tutti in macchina, corridori, meccanici, massaggiatori, giornalisti. Offesi e arrabbiati. L’ultimo flash dei fotografi è per Fiorenzo Magni che ripiega con cura la sua maglia gialla e la ripone in valigia.
Non c’è esultanza nel clan tricolore mentre si avvia verso l’albergo posto a Loures-Barousse inseguito da giornalisti di ogni nazione. La faccia di Bartali non premette niente di buono. E le sue labbra sibilano la frase temuta: “Domani me ne vado a casa. Non siamo in guerra e non voglio che si faccia guerra per noi”. Binda ascolta e tace: frasi dette a caldo, pensa; abbiamo vinto 6 tappe su 11, abbiamo la maglia gialla e possiamo vincere il Tour, sarebbe assurdo… Goddet invece prende la minaccia sul serio. Si precipita all’albergo degli italiani. Ha la coscienza sporca, sa che quella follia è nata anche dai suoi commenti. Il ritiro degli italiani sarebbe uno smacco per la sua corsa. Tenta di trattare con Bartali e Binda. Promette che aumenterà la scorta di poliziotti, ammette che Bartali non c’entra niente con il comportamento dei cadetti e anzi ha già fatto scrivere su L’Equipe un articolo in questo senso. Ha anche dettato il titolo della prima pagina, che a dir la verità non è esattamente corretto: “Tre grandi: Bartali, Bobet e Robic / violentemente minacciati dalla folla”. Fa anche una proposta assurda: la squadra italiana può correre vestita di una maglia neutra, in modo che la gente non possa riconoscere i corridori. Bartali è sempre più determinato: è offeso e spaventato. La stampa italiana è con lui. I corridori, tricolori e cadetti, sono quasi tutti d’accordo ad assecondare Ginettaccio, che ribadisce: “Io torno a casa, gli altri sono liberi di fare ciò che si sentono”. Solo Leoni è contrario ad abbandonare: propone di restare e anzi di vincere il più possibile per farla vedere a questi francesi. A Magni, Adolfo suggerisce di continuare, “puoi vincere il Tour, sei in forma”. Binda non sa che fare, telefona a Roma, espone i fatti e riceve l’ordine: “Tornate a casa”. Goddet implora gli italiani fino alle 3 di notte. E alle 8 di mattina, poco prima del via della St.Gaudens-Perpignano, è ancora lì che chiede a Magni di non abbandonare la maglia gialla. Ma il clan italiano è unito: se ne vanno tutti in macchina, corridori, meccanici, massaggiatori, giornalisti. Offesi e arrabbiati. L’ultimo flash dei fotografi è per Fiorenzo Magni che ripiega con cura la sua maglia gialla e la ripone in valigia.
Questo successe, 53 anni fa. E stupisce che oggi in uno dei tre meravigliosi volumi sui cento anni del Tour editati da L’Equipe con la Societé du Tour de France si debba leggere questa ricostruzione dei fatti: ”Gino gioca la parte del martire e dilata l’incidente. Dice che ha visto un uomo con un coltello gettarsi su di lui” (…). Piuttosto che assistere alla vittoria di Fiorenzo Magni, Bartali preferì imbarcare tutti gli italiani nella sua nevrosi”. Fortuna che nel sito internet del Tour si parla di un Bartali “aggredito da spettatori sul Col d’Aspin”.
Come finì la faccenda? Kubler , secondo in classifica, il primo giorno rifiutò di indossare la maglia gialla. Goddet, per paura di altri incidenti, trasferì da San Remo a Mentone l’arrivo della 15.a tappa. I giornali italiani scrissero articoli di fuoco contro i francesi, alcuni francesi scrissero che il “Tour è morto”.
Come finì la faccenda? Kubler , secondo in classifica, il primo giorno rifiutò di indossare la maglia gialla. Goddet, per paura di altri incidenti, trasferì da San Remo a Mentone l’arrivo della 15.a tappa. I giornali italiani scrissero articoli di fuoco contro i francesi, alcuni francesi scrissero che il “Tour è morto”.
Poi scoppiò la pace. Bartali poche settimane dopo accettò di partecipare in Francia a un circuito organizzato a sostegno della famiglia di Danguillaume, deceduto in una corsa. Fu accolto con tutti gli onori e applaudito dagli sportivi transalpini. Fu in quell’occasione che incontrò l’uomo dalla canottiera bianca, uno degli energumeni più feroci che l’aveva assalito. Lo incontrò nella bottega di Le Drogo, vecchio corridore che aveva messo su un laboratorio di biciclette, lì accompagnato da Bobet. Bartali raccontò poi ciò che gli disse il gigante “Mi dispiace, l’ho dovuto fare. Volevamo solo demoralizzarvi. Ci avevano detto che se vincevano gli italiani noi saremmo rimasti tutti disoccupati. Qui non si vendono più biciclette, io ho quattro figli, l’ho fatto per loro”. Cioè: contestazione organizzata.
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