Nei vicoli del centro storico di Bologna esistono
diverse osterie antichissime e cariche di suggestioni. La più vecchia è
l’Osteria del Sole, che risale al 1465. Famosissima è l’Osteria de’ Poeti,
aperta nel 1600 nelle cantine del Palazzo Senatorio (costruito nel 1400) e
cosiddetta perché frequentata da Pascoli e Carducci. Poi c’è l’osteria Da
Cesàri. La domenica sera, dopo la “chiusura” del giornale alle 23, noi
giornalisti partivamo per una avventura irrinunciabile: andare da Cesàri. Esiste
dai primi del 900 e nel 1955 era diventata di proprietà di Ilario, un omone
gioviale e allegro. A destra c’era un bancone lunghissimo e scaffali pieni di
bottiglie di vino. A sinistra i tavolini per sedersi a mangiare tortellini,
tortelloni, tagliatelle accompagnati da un micidiale Sangiovese fatto dal
titolare. Entravi e venivi subito travolto dal fitto chiacchiericcio dei
commensali e dall’odore acre di vino. Allora lavoravo a “Stadio”, quotidiano
sportivo bolognese. Ad andare da Cesàri eravamo soprattutto noi giornalisti del
calcio, poi tanti appassionati di sport, fra cui Lucio Dalla. E per un preciso motivo. Lì arrivavano puntualmente gli arbitri che
tornavano a casa dopo aver diretto le rispettive partite: arbitri della città o
che dal nord scendevano verso il sud. Ricordo il nostro Reggiani, e Monti di
Ancona. Anche per loro quella tappa era diventata obbligatoria. Fra una
cucchiaiata e l’altra di tortellini ci si scambiava opinioni su quanto accaduto
in campionato, le confidenze restavano tali e nessuno si sognava di usarle per
articoli del giorno dopo. Verso mezzanotte arrivava un usciere del giornale che
portava alcune decine di copie di “Stadio”. “Stadio” intanto era già in viaggio
verso il sud su un treno divenuto leggenda: il famoso LB delle 23 e 35. Famoso
perché l’orario di partenza da Bologna era fissato non dalle Ferrovie dello
Stato ma dall’uscita di “Stadio”: non si metteva in moto se non erano state
caricate le copie del giornale destinate al sud. Il tutto, ovviamente, con la
complicità dei capotreni che poi per Natale ricevevano un orologio in cambio
della loro elasticità.
Da Cesàri, con le copie del giornale in mano, giornalisti
e arbitri si facevano improvvisamente silenziosi, tutti a sfogliare le pagine. E
dopo di nuovo a commentarle assieme, soprattutto le “pagelle” delle partite: se
era presente un arbitro che magari si era beccato un 4, allora ci si metteva a
discutere, lui si difendeva spiegando quelli che parevano suoi errori e noi ad
ascoltarlo e magari ad assolverlo. Era un bel modo di vivere il giornalismo.
Per la cronaca, adesso da Cesàri comanda Paolino, figlio di Ilario: Paolino per
modo di dire, è grosso come il padre.
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