Perché
certi sport sono sempre più dominati da atleti di colore? E perché invece in
certi altri – ciclismo o nuoto - la presenza dei “neri” é pressoché nulla?
Il
calcio ha da tempo scoperto i talenti di colore e intanto celebra fra i suoi
massimi campioni di sempre i “neri” Pelé (Brasile), Eusebio (Mozambico),
Weah (Liberia), Gullit e Seedorf (Suriname), Eto’o (Camerun). Negli Stati Uniti
oltre l’80% dei giocatori professionisti di basket e il 73% dei giocatori di
football sono di colore. Alle più recenti Olimpiadi oltre il 90% delle medaglie
conquistate dagli americani sono “nere”. Gli atleti di colore dominano il
pugilato e l’atletica leggera e ormai emergono in quasi tutte le discipline. Le
sorelle Williams, Serena e Venus, dominano il tennis, Lewis Hamilton nel 2008
ha vinto il Mondiale di F.1, Tiger Woods è l’indiscusso re del golf, l’uomo che
per primo al mondo ha guadagno in carriera un miliardo di dollari. C’é chi
profetizza che fra meno di 50 anni non vi sarà alcun campione “bianco”.
Quando
nel 1936 il nero dell’Alabama Jesse Owens (foto in alto) vinse quattro medaglie d’oro
nell’Olimpiade di Berlino che doveva segnare il trionfo della “razza ariana”,
un giornale tedesco si chiese: “Ma cos’hanno in più di noi questi negri?”. Alla
domanda (se e che cosa i neri hanno in più dei bianchi) solo da pochi anni si é
tentato di dare una risposta credibile, scientifica. Innanzitutto
é stato detto che motivi sociali finora avevano tenuto - e in certi casi
tengono ancora - gli atleti di colore lontani da certe discipline. Il golf o il
nuoto per esempio non avevano mai espresso campioni neri anche per il fatto che
in certi paesi era loro proibito l’ingresso in club e piscine. Arthur Ashe, un
grande del tennis, “nero”, rivelò che quando aveva 10 anni un famoso Tennis Club
di Richmond, Virginia, gli rifiutò l’ingresso. Ancora oggi 4.500 Club di golf
statunitensi su 6.000 non hanno soci di colore. Un fatto anche di condizione
economica: nero é anche stato spesso - ed é ancora dovunque - sinonimo di
povertà, quindi impossibilità di avvicinarsi a discipline costose come lo sci
o l’automobilismo (qui, al massimo, solo meccanici fino a non molto tempo
fa).
Ma
sono stati anche sentimenti razzisti a ritardare l’avvento dei neri
nello sport. Ai primi del 1900 negli Usa esisteva un “campionato mondiale per
pugili neri”, distinto da quello dei bianchi. Alle Olimpiadi del 1904 erano in
programma le “giornate antropologiche” in cui venivano esibiti a mo’ di
sensazione atleti neri. Ancora nel 1936 gli atleti di colore venivano definiti
“ausiliari”. Ha sempre fatto scalpore la
“prima volta” di un nero. Come quando nella nazionale brasiliana di calcio nel
1922 trovò posto Tatù del Corinthians. Come quando Althea Gibson nel 1957 vinse
il torneo femminile di tennis di Wimbledon o quando nelle Olimpiadi del 1928
l’algerino Boughera El Quafi vinse la maratona. Come quando nel 1978 la
nazionale di calcio inglese esibì il primo giocatore di colore (Viv Anderson) o
quando nel 1988 anche il rugby inglese fra molte diffidenze portò in Nazionale
il nero Chris Oti. Altre novità sorprendenti: nel 1988 ai Giochi di Seul vi fu
la prima medaglia d’oro olimpica nera nel nuoto, quella di Anthony Nesty
(Suriname) nei 100 farfalla; nel 1984 alle Olimpiadi Invernali di Sarajevo
debuttò il primo sciatore di colore, Guy Lamine del Senegal. Ha fatto scalpore,
nell’aprile 1997, la vittoria a New York di Tiger Woods (21 anni, afroamericano
da parte di padre) nel Master di golf.
Questo
continuo emergere di atleti neri in ogni disciplina portò alcuni
ricercatori ad affrontare seriamente la domanda iniziale: se e che cosa i neri
hanno in più dei bianchi. Non sono ancora state date risposte precise e
uniformi ma qualcosa é emerso. Roger Bannister, bianco, grande mezzofondista
inglese divenuto poi biologo, affermò che “lo strapotere dei neri nelle gare di
corsa, nel basket e in altri sport deriva da differenze biologiche”. Quali? I
neri americani e dell’Africa occidentale hanno meno grasso sottocutaneo,
fianchi più stretti, cosce più grosse, maggiore densità ossea, ossa delle
caviglie più lunghe, soprattutto una maggiore percentuale di fibre “pallide” o
veloci che predispongono alla forza esplosiva: queste particolarità permettono
loro di eccellere nella velocità, nei balzi, negli scatti. Gli atleti
dell’Africa nord-orientale (kenioti, etiopi, magrebini) hanno grande leggerezza
scheletrica, maggior capacità di sfruttare l’ossigeno negli sforzi, più fibre
muscolari “nere” o lente che li rendono adatti alle prove di resistenza.
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