Come
giornalista sportivo ho viaggiato molto, negli anni 70, e soprattutto in paesi
lontani in cui il turismo non era ancora arrivato. Allora parecchie federazioni
“invitavano” la stampa al seguito dei loro eventi, per i giornali sarebbe stato
troppo costoso. E’ così che ho potuto vedere cose straordinarie in Cina, in
Birmania, in Iraq: straordinarie perché così distanti dalla cultura e dalle
gente europea. Nel 1979 feci un viaggio assolutamente stupefacente, indimenticabile, nell’estremo Oriente: Cina e Corea del Nord. Fu
una trasferta di quasi un mese, se ricordo bene, al seguito delle Nazionali maschile e femminile di
tennistavolo dirette a Pyongyang dove si svolgevano i campionati del mondo di
questa disciplina. Ci fermammo due settimane a Pechino perché allora
l’allenatore degli Azzurri era un cinese, Tian Wenjuan. Il nostro interprete
era Wang Chu, un ragazzo che aveva studiato all’università di Perugia e che
tifava ardentemente per quella squadra di calcio. L’andata del viaggio fu a dir
poco avventurosa: Roma-Mosca (bellissima la Piazza Rossa con la cattedrale di San Basilio, qui sotto) poi nella capitale dell’allora Urss ci imbarcammo il giorno dopo
su un Ilyushin diretti a Pechino. Una violentissima tempesta di sabbia
incombeva sulla capitale cinese e così il pilota sovietico decise di tornare
indietro. Atterrammo in mezzo a una tormenta di neve a Irkutsk, in Siberia, la
città del Michele Strogoff inventato per un suo romanzo da Jules Verne. Da quel
giorno ho sempre avuto paura dell’aereo. Ripartimmo il giorno dopo, dopo aver
visitato con -10° la città dominata da un tempio meraviglioso (nella foto più sotto) e
tutto andò liscio.
A Pechino eravamo ospitati, giocatori e
giornalisti, nell’Istituto di Cultura Fisica. I ricordi di quel soggiorno sono
ancora vivi e tantissimi. Dovetti imparare a mangiare con le bacchette (me ne
sono portato a casa una scatola) e a bere il Maotai, un micidiale liquore fatto
di frumento e sorgo distillati con una gradazione alcolica del 54%: comprai una bottiglia
che conservo ancora, piena. Mentre gli atleti passavano i loro giorni ad
allenarsi e a riposarsi, noi giornalisti venivamo portati in giro. E vidi cose
stupefacenti.
La Grande Muraglia, costruita più di 2.200 anni fa, e lunga 8.800
km; la Tien Anmen, la sterminata piazza dominata dall’immagine di Mao Zhedong
(allora si chiamava ancora Mao Tse Tung); il lussuoso Palazzo imperiale
immortalato poi da Bertolucci nel film “L’ultimo imperatore”; la tomba
dell’Esercito di terracotta che era stato scoperto appena 5 anni prima: circa
8.000 guerrieri in terracotta, circondati da 18 carri in legno e 100 cavalli in
terracotta, costruiti per fare la guardia alla tomba del primo imperatore
cinese, Qin Shi Huang, assieme a statue di servitori, mandarini, concubine,
vasi e utensili. Ancora oggi si sta scavando intorno per scoprire altri
reperti. Ho letto che per allestire un simile meraviglia occorsero 700.000
prigionieri e 10 anni di lavoro. Mai visto niente di così sbalorditivo.
A Pechino la prima cosa che mi colpì fu il mare di
biciclette che scorrevano su larghissime strade. E poi gente che sulle panchine
di pietra ai margini delle case che giocava a scacchi o a ping pong. Da quando
Mao si era fatto fotografare con la racchetta in mano, il tennistavolo era
diventato lo sport nazionale. Ricordo fra le altre cose un ricevimento
organizzato dall'ambasciatore Francisci: in
quella occasione mi gustai la famosa anatra all’arancia, ben diversa da quelle
mangi in un ristarante cinese in Italia. Quella trasferta fu anche l’occasione
per uno scoop giornalistico: una intervista esclusiva a He Zhenliang, allora
50enne vicesegretario dello sport cinese e del Comitato Olimpico locale. La
Cina del dopo Mao era in evoluzione e mirava in alto, specie a cominciare dallo
sport. He Zhenliang fra le altre cose mi disse che per il 2000 la Cina sarebbe
stata pronta a surclassare le altre nazioni e che avrebbe ospitato le
Olimpiadi. Pareva una sbruffonata propagandistica, non era così. La Cina fu
riammessa di lì a poco nel Comitato Olimpico Internazionale, nel 1989 lui ne divenne
vicepresidente e la Cina ospitò i Giochi nel 2008, dopo che quattro anni prima
la sua candidatura era stata bocciata per violazione dei diritti umani.
Al confronto la capitale della Corea del Nord, Pyongyang,
mi parve città tetra e fredda, anche se ordinata e pulita: per l’occasione
avevano anche lavato gli alberi!. Andando in giro per strade deserte avevamo sempre l’impressioni
di essere seguiti con discrezione. Per la storia le squadre azzurre ottennero un grande successo. A quel mondiale erano presenti raporesentative di 72 Paesi, si gareggiava nei titoli per singoli e a squadra. Si decideva chi diventava campione fra le 16 squadre di prima categoria, e chi della seconda categoria doveva essere promosso. L'Italia maschile, che prima della Corea era quarta della seconda categoria, entrò fra le prime 16, e le azzurre furono promosse dalla terza alla seconda categoria. Artefici di questi successi fra i maschi furono Massimo Costantini (poi allenatore delle nazionali di Italia, Emirati, India e attualmente del Tennistavolo San Francisco), Stefano Bosi (divenuto poi presidente della Federazione italiana e oggi presidente della Federazione europea), Giontella e Bisi e fra le donne Milic, Bevilacqua, Mauriello (appena quindicenne).
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